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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani, apparso sul quotidiano Italia Oggi.

Anche se il nuovo presidente della Commissione Ue, Juncker, non si è ancora insediato, la Germania si è già assicurata la poltrona del suo capo di gabinetto, cioè del burocrate numero uno in Europa, il più potente. Finora su questa poltrona sedeva, guarda caso, un tedesco: Johannes Laitenberg, che per anni è stato il braccio destro di José Manuel Barroso. Di norma, il capo di gabinetto del presidente della Commissione conosce non solo i fascicoli del suo capo, ma anche quelli degli altri commissari, e grazie alla sua posizione è in grado di influenzare le decisioni sia della presidenza che di tutta la Commissione. Dunque, un posto chiave, di assoluto potere, al quale la Germania non intende rinunciare. Per questo al tedesco Laitenberg succederà un altro tedesco, Martin Selmayr, che finora è stato capo di gabinetto di Viviane Reding, commissario Ue alla Giustizia. Il classico «tutto cambi, perché nulla cambi».

La Germania non si è limitata a vincere questa partita, ma ha addirittura raddoppiato l’incasso: Laitenberg, noto per essere sempre stato vicino al partito della Merkel, non solo non è stato pensionato, ma per lui è stata creata una nuova poltrona europea, quella di guardiano dei bilanci nazionali presso il servizio giuridico della Presidenza Ue. Insomma, se l’Italia sforerà il 3%, sarà il superburocrate tedesco Laitenberg a doverlo notare per primo, e agire poi di concerto con il finlandese Jyrki Katainen, che è subentato a Olli Rehn sulla poltrona di Commissario per gli Affari economici, un mastino dell’austerità come il predecessore, in perfetta sintonia con Berlino. Sempre tra i ranghi dell’alta burocrazia vi è poi Uwe Corsepius, ex consigliere diplomatico di Angela Merkel, che ricopre l’incarico di segretario generale del Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Significa che grazie a due suoi uomini, Selmayr e Corsepius, la Merkel ha il pieno controllo sia della Commissione Ue (il governo europeo), sia del Consiglio dei capi di Stato e di governo, che è il vertice politico dell’Ue.

Non è tutto. Incrociando abilmente gli incarichi politici con quelli burocratici, la Germania si è già impadronita di alcune postazioni politiche di rilievo in Europa. Il presidente del parlamento europeo è Martin Schulz, esponente del partito socialdemocratico che a Berlino è al governo con la Merkel. Il segretario dell’Assemblea, Klaus Wellle, esponente Cdu (il partito della Merkel), è stato riconfermato. Anche il commissario Ue all’Energia, Gunther Oettinger, è dato per certo tra i confermati: con lui, un settore strategico per l’industria tedesca rimane sotto il controllo di un esponente dello stesso partito della cancelliera. Sempre all’interno del parlamento europeo, sono tedeschi i capigruppo di tre partiti: Popolari, Verdi e Linke (sinistra radicale).

Completano il panorama il liberale tedesco Werner Hoyer, che guida la Banca europea degli investimenti, istituto strategico per sostenere l’industria manifatturiera, e l’economista Klaus Regling, che è alla guida dell’Esm, il Fondo salva-Stati dell’eurozona, dopo essere stato dirigente del Fondo monetario a Washington e a Giacarta, nonché ministro delle Finanze a Berlino negli anni in cui si metteva a punto l’unione monetaria dell’Europa.

E l’Italia? A difendere l’onore dei colori nazionali in Europa c’è solo Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Ma qui sconfiniamo dal territorio dei burocrati in quello dei banchieri, che merita un approfondimento adeguato. Ci tornerò sopra. Di certo, Renzi non poteva riferirsi a lui quando ha criticato i banchieri che «assaltano» l’Europa insieme alla tecnocrazia.

Ma visto e considerato il risiko che la Merkel ha messo a segno tra gli alti burocrati, un po’ di autocritica da parte del premier italianoi non guasterebbe. I governi Monti e Letta, tra i molti difetti, avevano tuttavia un eccellente ministro per gli Affari europei: Enzo Moavero, in precedenza direttore generale a Bruxelles del Bureau of european policy advisors. Un superburocrate competente e stimato da tutti, anche in Europa. Ma Renzi l’ha licenziato e rottamato, sostituendolo con un sottosegretariato, affidato a Mario Gozi, ex funzionario a Bruxelles fino al 2005, quando rientrò in Italia per fare il consigliere diplomatico prima di Nichi Vendola in Puglia e poi del governo Prodi a Roma. Qualcuno ne ha sentito parlare?

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