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Riempie la piazza di Milano al grido “stop ai clandestini”, ma perde pezzi nei territori. E’ la Lega Nord targata Matteo Salvini, dove chi non sta con il leader finisce – bossianamente parlando, o anche stile Beppe Grillo – “fora da i ball”. Una strategia attuata in maniera certosina dal segretario federale, accentratore infaticabile che imperversa ovunque senza lasciare spazio ai colonnelli. E guai a cercarsi un posto al sole, si rimane scottati. Manes Bernardini ne sa qualcosa.

IL CASO BOLOGNA

Fino a qualche tempo fa sotto le Due Torri parlare di Lega significava innanzitutto parlare di Manes Bernardini. Avvocato di 44 anni, tessera del Carroccio in tasca fin dal 1991, approda in Regione nel 2010 forte di 5.500 preferenze, l’anno successivo entra in consiglio comunale dove diventa capogruppo, dopo essere stato il primo candidato sindaco leghista. Ma è proprio a Bologna, dove il partito viene commissariato, che per lui iniziano i problemi. Alla guida viene imposta da Milano la consigliera comunale Lucia Borgonzoni; con Bernardini i rapporti sono tesi, sfociati nella recente lite sulle elezioni della Città Metropolitana, dove la commissaria non ne voleva sapere di fare squadra con le altre opposizioni.

Lo strappo di Bernardini non tarda ad arrivare; domenica il capogruppo comunale scomoda addirittura Martin Luther King per spiegare su Facebook che “prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta”. Per Manes tutto ciò significa addio alla Lega dopo 23 anni di militanza. Per andare dove? Sempre in consiglio comunale, ma con lo sguardo al 2016 e il pensiero a un progetto civico per ricandidarsi a sindaco.

I PERCHE’ DELL’ADDIO

“Se n’è andato prima che Salvini lo sbattesse fuori”, è la versione più accreditata. D’altronde, sin dal novembre 2013, Bernardini era finito nel mirino dei vertici. Sin da quando, cioè, aveva tentato di candidarsi (senza però raggiungere le firme necessarie) alle primarie per la segreteria, poi stravinte da Salvini contro Umberto Bossi. Da quel momento, il nuovo leader gliel’aveva giurata. La situazione è in seguito precipitata con il graduale avvicinamento di Bernardini al sindaco di Verona, Flavio Tosi, uno dei principali avversari interni di Salvini.

Morale della favola, due settimane fa il segretario nazionale della Lega Nord Emilia, Fabio Rainieri, esclude Bernardini dalla lista dei candidati al consiglio regionale, manovra ispirata (e formalmente confermata) dallo stesso Salvini. L’uomo su cui il Carroccio punta nel Bolognese, oltre al candidato presidente di Regione Alan Fabbri, diventa Umberto Bosco, militante di comprovata fede salviniana. Per Bernardini si tratta di uno smacco inaccettabile, la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Per tentare di reinserirlo in lista intercedendo presso il segretario federale, si sarebbero scomodati pure alti dirigenti come il governatore della Lombardia Roberto Maroni, al quale l’esponente bolognese è vicino, e il senatore Roberto Calderoli. Ma niente, il leader padano con l’orecchino ha tirato dritto, nel chiaro intento di mostrare i muscoli. Bernardini, dal canto suo, ha così deciso di farsi da parte prima di venire cacciato. Il tutto, peraltro, a un mese dal voto in Regione, col rischio che un probabile buon risultato leghista alle urne (come i sondaggi indicano) finisca per dare ragione proprio a Salvini. Di fronte a un successo elettorale, avrebbe infatti buon gioco nel sostenere che la Lega Nord può andare benissimo avanti pure senza uno come Bernardini.

Che cosa lega Salvini e Grillo

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