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La lettera scritta dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano al vice-presidente dell’organo di autogoverno delle toghe Michele Vietti nella giornata che portò il Consiglio superiore della magistratura a decidere sullo scontro al Palazzo di Giustizia di Milano aveva provocato stupore e clamore.

Il conflitto tra Robledo e Bruti Liberati

Molti osservatori la ritennero cruciale nella scelta di archiviare l’esposto presentato a marzo dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo contro il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati, riguardo presunte gravi irregolarità nella gestione dei fascicoli investigativi e processuali.

Tra le contestazioni, lo “scippo” delle indagini sul Rubygate a favore della responsabile della Direzione distrettuale anti-mafia Ilda Boccassini. Il “temporeggiamento” nell’iscrizione dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni nel registro delle persone indagate in merito all’ipotetico pagamento di mazzette ad opera dei vertici dell’ospedale San Raffaele. E quello del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà per la vicenda delle false firme a supporto del “listino” del Popolo della libertà in occasione del voto regionale del 2010.

Fattispecie che agli occhi del numero due della Procura riflettevano una valutazione discrezionale, “politica” più che giurisdizionale, da parte di Bruti Liberati.

Un’iniziativa disciplinare per entrambi?

La deliberazione del CSM fu in realtà molto più ricca e articolata di quanto apparve a prima vista. I giudici di Palazzo dei Marescialli trasmisero infatti al Pg della Corte di Cassazione Gianfranco Ciani, titolare del potere di azione disciplinare verso i giudici, gli atti concernenti il comportamento di entrambe le toghe su due vicende delicate e controverse.

I rilievi formulati dai membri del Consiglio superiore della magistratura erano relativi a inchieste di grande impatto mediatico e politico. La prima contestazione coinvolgeva la presunta turbativa d’asta compiuta nella vendita della SEA, la società del comune di Milano che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate. Bruti Liberati avrebbe “lasciato il fascicolo in cassaforte” mentre Robledo sarebbe “rimasto inerte per diversi mesi omettendo ogni interlocuzione con il proprio superiore”.

La seconda obiezione critica toccava le attività investigative e gli accertamenti sulla presunta “cupola” affaristica trasversale creata per l’assegnazione di appalti per Expo 2015 in cambio di tangenti. Al vice-procuratore veniva attribuito un doppio pedinamento effettuato nei confronti di uno degli indagati con indebita sovrapposizione del lavoro della polizia giudiziaria. E la messa a repentaglio della segretezza dell’inchiesta proprio a causa del ricorso che ha dato avvio all’istruttoria del CSM.

La scelta del Quirinale

La complessità della scelta compiuta dall’organo di auto-governo delle toghe non fu sufficiente a placare le polemiche concernenti l’effettivo contenuto della missiva trasmessa dal Presidente della Repubblica. Contenuto rimasto avvolto da un alone di riservatezza, e che Napolitano ha perciò deciso di rendere pubblico sul sito Internet del Quirinale.

Il ruolo centrale dei capi delle procure

Nel documento il Capo dello Stato, riferendosi ai conflitti sorti fra le mura del Palazzo di Giustizia di Milano, ritiene fondamentale superare “i fattori di caos e tensione emersi nella vita di tante procure”, e mette in guardia dal “rischio di atomizzazione nell’attività degli uffici giudiziari”.

Patologie che a suo parere possono essere fronteggiate riconoscendo “il ruolo di coordinamento attribuito al capo dei pubblici ministeri”. Una prerogativa conferita dalla riforma dell’ordinamento giudiziario realizzata nel 2004 dal governo Berlusconi e dal Guardasigilli Roberto Castelli.

No all’anarchia dei pm

Le parole scritte dal Capo dello Stato, nella loro veste solenne, esprimono un messaggio di straordinaria e dirompente forza politica. Al contrario di quanto proclamato dall’Associazione nazionale magistrati, è arduo parlare di indipendenza assoluta del pubblico ministero.

La sua autonomia – evidenzia Napolitano – riguarda l’ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato. Lungi dal rivendicare e ostentare visibilità e protagonismo, i sostituti procuratori devono contribuire “a un’azione unitaria e impersonale”. Attenendosi ai criteri organizzativi – investigativi e processuali – stabiliti con “ragionevole elasticità” dal responsabile della singola struttura.

Il Presidente della Repubblica – e del CSM – esorta i consiglieri a valutare il comportamento di Bruti Liberati tenendo a mente “i suoi poteri-doveri in rapporto alle esigenze di efficienza, uniformità e ragionevole durata dell’azione giudiziaria”.

Le due toghe a rischio

Le parole del Capo dello Stato erano state erroneamente giudicate, da analisti interni all’universo giudiziario, come un’intervento poco opportuno a favore di Bruti Liberati. La fragilità di tale valutazione si riscontra nella parte finale della mozione approvata a Palazzo dei Marescialli.

Passaggio che prevede la trasmissione degli atti alla 5ª Commissione del Consiglio, competente per il conferimento degli incarichi direttivi negli uffici giudiziari. Ad essa spetta la proposta di riconfermare o meno Bruti e Robledo nei rispettivi ruoli.

Un voto cruciale

Un delicato dossier di nomine che toccherà al prossimo CSM sbrogliare. È in fase di allestimento la macchina elettorale che governerà il rinnovo, in programma il 6 e 7 luglio, dell’organo di autogoverno delle toghe.

Tornata che potrebbe costituire uno spartiacque negli equilibri fino ad oggi predominanti tra le correnti dei magistrati. Un panorama sempre più magmatico e in fermento, nel quale i “moderati” di Magistratura indipendente puntano a rovesciare per la prima volta l’egemonia dei movimenti di centro-sinistra nell’organo di auto-governo: i progressisti di Magistratura democratica – cui appartiene Bruti Liberati – e il gruppo centrista di Unità per la Costituzione.

Un punto a favore per il numero uno della Procura

Nell’attesa di conoscere il verdetto del CSM sulla permanenza o meno delle due toghe al Palazzo di Giustizia, il numero uno della Procura ha allontanato un’insidia politica.

La riforma della Pubblica amministrazione messa in cantiere dal governo aveva proposto un’immediata abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio per tutti i funzionari di Stato che avessero maturato i requisiti per la pensione. Misura che avrebbe ridotto l’età previdenziale dei giudici da 75 a 70 anni, raggiunti quest’anno da Bruti Liberati. Al quale dunque sarebbe stata negata la riconferma nell’incarico.

Pericolo sventato. Grazie a un intenso lavoro di interlocuzione con il Quirinale, l’Associazione nazionale magistrati è riuscita a strappare dall’esecutivo il rinvio al 2016 dell’entrata in vigore della norma per i giudici di ogni grado.

Caso Robledo e Bruti Liberati, la lezione di Giorgio Napolitano al Csm sul ruolo dei pm

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