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L’Italia ha bisogno di più “Soft economy“. Ebbene sì! Questa ci mancava. Dobbiamo ammetterlo. Come diceva il filosofo tedesco, che si oppose a lungo a Hegel, Arthur Schopenhauer, “chi molto sa più soffre”. E noi, fino ad oggi, questa sofferenza non l’avevamo provata, perché ci era oscuro il concetto di “Soft economy”.

Ma cos’è questa “Soft economy”? In parte è green economy (cosa sacro santa!). E poi anche innovazione (cosa altrettanto sacro santa!) e l’innovazione l’Italia dove deve praticarla? In cultura, in turismo, dicono gli organizzatori del Festival della Soft Economy dal titolo “Coesione è competizione. Perché l’Italia deve fare l’Italia” (27/28 Giugno a Magliano, Camerino, Macerata). Cioè l’Italia deve diventare la Florida d’Europa. Un grande ospizio, ci scuseranno le case di cura per anziani, dove far ricoverare o far svernare i turisti in tutto l’anno, in virtù del clima mite della nostra penisola.

Ma poi qualcuno dovrà spiegargli perché, per arrivare da Milano in Calabria, per fare un esempio, ci metti un giorno intero, oppure paghi un aereo 500 euro (anche solo su una tratta). Qualcuno dovrà dirgli che una vacanza nel Belpaese costa molte volte in più rispetto a quella di un paese come la Spagna o la Grecia (per rimanere saldamente all’idea che dall’ambito dei PIGS con la “Soft economy”, non ne usciremo).

Ma quello che preoccupa di più non è tanto il fatto che la green economy, o il turismo o la cultura vengano descritte come capisaldi di uno sviluppo “Soft” del futuro. Nell’economia “soft” secondo gli organizzatori, rientrano anche le stampanti 3d. E qui viene il bello, cari signori. Le stampanti 3d rappresentano il simbolo, e lo strumento, di una nuova rivoluzione post industriale. Ma non sono solo l’oggetto di chi, addetto ai lavori, riempie le pagine dei giornali per i lettori più sensibili all’innovazione. Le stampanti 3d, oggi, per esempio vengono utilizzate per fabbricare (attenzione al verbo: fabbricare!) centinaia di pezzi per almeno 10 modelli di velivoli della Boeing. Oppure vengono utilizzate per produrre arti artificiali nell’industria medica. Le stampanti 3d potranno integrarsi nella filiera produttiva di un’industria sempre più diffuse nei territori.

I visionari della “Soft economy” devono spiegarci perché l’Italia, “per fare l’Italia”, deve escludere a priori comparti che le hanno consentito di diventare una potenza industriale: il comparto della manifattura, della chimica, della siderurgia e in questo andare incontro alla nuova frontiera della riqualificazione dell’ambiente che si sposa con la tecnologia, ambito che gli americani chiamano “cleantech”.

L’Italia, senza industria pesante, sarà un grande ospizio, per metà vuoto visto che realizzare le infrastrutture, per far muovere più agevolmente i turisti, potrebbe far sparire qualche ettaro di terra, per lo più abbandonata e non coltivata. E pure l’agricoltura, a lungo decantata dai visionari della soft economy, da sola non basta a rialzare le sorti del Pil depresso del nostro Paese.

Se si hanno a cuore le sorti del nostro paese bisogna puntare a modernizzare l’industria, le nostre reti infrastrutturali, anche perché, cari amici della “Soft economy”, voi che decantate così tanto l’Expo 2015 sarà difficile “nutrire” l’Italia senza il cuore pulsante della sua tradizionale economia. E scusate tanto se per voi è poco “soft”.

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