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In un mondo segnato da crisi geopolitiche e sfide ambientali, la sicurezza energetica emerge come un tema cruciale nel comunicato congiunto che i ministri del Clima, dell’Energia e dell’Ambiente del G7 hanno diffuso dopo la riunione che il gruppo ha dedicato a quei temi, ospitata dall’Italia nella Reggia di Venaria. Il documento, che riflette le discussioni e gli impegni dei Paesi più industrializzati su uno dei grandi temi globali, e ripercorre un focus già dedicato dalla ministeriale Trasporti ed Esteri, pone un accento particolare sulla necessità di una risposta coordinata e resiliente alle attuali sfide energetiche internazionali.

Il comunicato esprime una condanna unanime verso gli sforzi della Russia di manipolare l’energia come strumento di coercizione, sottolineando l’urgenza di supportare le nazioni più vulnerabili contro certe tattiche. “I ministri del G7 condannano gli sforzi della Russia di utilizzare l’energia e il cibo come strumenti di coercizione geopolitica”. Se c’è stato un momento in cui ci si è resi conto di quanto e come il tema energetico fosse cruciale per là sicurezza di un Paese, quello è stato in effetti il febbraio 2022. In quel momento, mentre Vladimir Putin lanciava l’invasione su larga scala dell’Ucraina, l’Europa si è violentemente accorta che la dipendenza dal gas russo significava stare sotto ricatto del regime invasore e rivale di Mosca.

Nella riunione torinese, il G7 si è impegnato a fornire supporto concreto all’Ucraina, promettendo di condividere esperienze e competenze per la ricostruzione sostenibile del Paese squarciato dalla guerra russa. “Siamo pronti a supportare la ripresa sostenibile e resiliente e la ricostruzione verde dell’Ucraina”, dice il comunicato, delineando un piano di assistenza che include la gestione dei detriti di guerra e la decontaminazione delle aree colpite.

La crisi multi dimensionale attuale, esacerbata dal conflitto in Ucraina, ha portato a prezzi dell’energia alle stelle e a una volatilità del mercato che non si vedeva da decenni. È un fattore di insicurezza perché, banale dirlo, l’energia è il motore di un Paese, del suo sviluppo e della sua prosperità, e dalla sicurezza energetica passano anche le esigenze dei cittadini — ossia, in definitiva, la stabilità interna di un Paese. L’oscillazione dei prezzi e i rischi di interruzione delle forniture è una spada di Damocle che pesa su governi e cittadini.

In risposta, i ministri del G7 sottolineano l’importanza di accelerare la transizione verso fonti di energia pulita e di diversificare le fonti energetiche per migliorare la sicurezza energetica globale. “Per affrontare l’attuale crisi energetica e raggiungere il nostro obiettivo comune di emissioni net-zero entro il 2050, evidenziamo la reale, urgente necessità e opportunità di aumentare la sicurezza energetica”, dichiara il comunicato.

E qui si apre un ulteriore scenario: se con gli idrocarburi il rischio dipendenza ruota (anche) attorno alla Russia — tra i principali esportatori al mondo di petrolio e gas — con le energie alternative si rischia di creare un’altra dipendenza indiretta, a cui il G7 guarda con preoccupazione: quella dalla Cina. In media, la filiera produttiva di componentistica per le energia rinnovabili è dipendente per il 65% dalla Cina. E questo ha comportato una perdita di competitività in un settore in cui l’Ue intende investire strategicamente (anche attraverso piani come il Green Deal).

Citando un’analisi quantitativa del Sole 24 Ore: “I costi d’investimento in filiere come quella dei pannelli fotovoltaici, delle batterie e delle pompe di calore sono maggiori in Italia e nella Ue rispetto alla Cina. Il costo d’investimento per la realizzazione di impianti produttivi di pannelli fotovoltaici in Italia è tra 2,2 e 5,6 volte superiore alla Cina. Al contempo, le spese in conto capitale per una nuova gigafactory per batterie sono superiori del 47% (100 milioni di euro per gigawattora nella Ue contro i 68 milioni di euro per gigawattora in Cina), e il costo di produzione delle batterie nella Ue è superiore del 33% rispetto alla Cina”.

Se da un lato la necessità di sviluppare le varie forme di energia pulita è una realtà innegabile quanto ovvia per i grandi Paesi del G7, per logiche eco-climatiche, dall’altra lo sganciamento dai fossili comporta costi e rischi di nuove dipendenze. È per tale ragione che la sicurezza energetica assume un valore così elevato nelle dinamiche del gruppo. Questo impegno si inserisce per altro in un contesto più ampio di crisi multiple che affliggono diverse regioni del pianeta. Sfide locali, regionali e internazionali in cui la materia energetica assume ruolo sfumato ed è spesso utilizzata come arma di ricatto e coercizione da attori ostili al sistema valoriale del Gruppo dei Sette.

È per questo che lo spesso citato concetto di de-risking diventa intrinsecamente legato alla sicurezza energetica. Quando si parla di “de-risking” ci si riferisce abitualmente alla riduzione dei rischi associati a dipendenze problematiche (come quelle russe o cinesi), ed esse chiaramente toccano anche gli investimenti nei settori volti a combattere il cambiamento climatico. Banche Multilaterali di Sviluppo e Istituzioni Finanziarie Internazionali, insieme a partner del settore privato, stanno unendo le forze per mobilitare finanziamenti col fine di aumentare progetti che promuovono lo sviluppo a basse emissioni di gas serra e resistente ai cambiamenti climatici.

Gli interlocutori diretti sono Paesi sottosviluppati in cui certi piani sono fondamentali per la crescita (Paesi come l’Etiopia, per fare un esempio, tra i più popolosi dell’Africa ed economicamente più strutturati, ma dove un’ampia aliquota di popolazione è senza o quasi energia elettrica). Questa sinergia che il G7 si propone di implementare serve anche a evitare che certi dossier vengano presi in carico dai portatori di modelli di governance internazionale rivali rispetto all’ordine basato sulle regole dettato dall’Occidente — che ha tenuto in equilibrio il mondo negli ultimi settant’anni. È successo che la Cina ha per esempio scambiato la sicurezza energetica di Paesi terzi con influenza geopolitica, attraverso il finanziamento di progetti che poi si sono rivelati nelle cosiddette trappole del debito.

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