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Dimenticatevi di quel progetto del chioschetto per vendere piadine in riva all’oceano: l’idea giusta per chi vuole trasferirsi su un’isola tropicale è andare a installare impianti fotovoltaici e pale eoliche. Scherzi a parte: pochi posti sono perfetti per accogliere investimenti in energia pulita come le isole. In aree che spesso hanno abbondanti risorse di sole e vento, infatti, ci sono sistemi energetici che dipendono quasi totalmente da combustibili fossili importati e inefficienti generatori diesel e nei quali di conseguenza i costi dell’energia sono tanto alti da rendere le rinnovabili altamente competitive.

Delle isole italiane, dove l’alto costo dell’energia prodotta ancora in gran parte con inefficienti generatori a gasolio viene compensato dalla bolletta di tutti gli italiani,abbiamo già parlato diverse volte: ora il decreto Competitività ha dato finalmente mandato per intervenire su questo spreco e mettere in campo impianti a fonti rinnovabili. Ma nel mondo sono molte le isole, anche Stati, che potrebbero giovarsi del contributo delle fonti pulite per sanare situazioni energetiche disastrose.

Ad esempio negli Stati insulari dei Caraibi il kWh costa da 0,25 a 0,50 euro/kWh e in alcune isole del Pacifico arriva all’esorbitante cifra di  0,78 euro/kWh.  Nelle nazioni di quegli arcipelaghi la spesa per importare combustibili fossili arriva anche al 40% del Pil nazionale. In aziende relativamente energivore come hotel e altre strutture turistiche la bolletta supera spesso il 20% dei costi di esercizio. In questi contesti il 70% della popolazione ancora non ha accesso all’elettricità.

Ma le nazioni-isola offrano grandi opportunità per le rinnovabili, tanto che l’ultimo report di Ernst & Young dedicato ai mercati più attraenti ne parla per un capitolo intero. Ci sono ovviamente anche diversi fattori che frenano gli investimenti. Innanzitutto c’è un po’ di scetticismo da parte degli investitori esteri per la taglia relativamente piccola di quei mercati. Poi spesso in quei contesti è difficile fare parchi di grandi dimensioni e ci sono problemi di permitting anche perché sovente gran parte dei terreni sono pubblici o della comunità. Infine, il più delle volte c’è un sistema elettrico dominato da monopolisti statali verticalmente integrati, cosa che rende difficile la competizione.

In altri situazioni le fonti rinnovabili sono frenate da politiche che tentano di combattere il caro-energia senza però ridurre la dipendenza dalle fossili: è il caso degli accordi che 17 nazioni dei Caraibi hanno definito per acquistare più del 40% del proprio fabbisogno di petrolio a condizioni vantaggiose dal Venezuela; condizioni che però ci si aspetta diventino presto molto meno vantaggiose, dato che il Venezuela ha urgenza di ridurre il suo debito pubblico. Altra nota dolente è l’accesso al credito, spesso difficile in paesi con un rating basso, così da rendere quasi indispensabile appoggiarsi a enti terzi come la Banca Mondiale o l’OPIC (Overseas Private Investment Corporation).

Sarebbe dunque solo un mercato di nicchia per investimenti sostenuti da enti multilaterali? Non proprio: la Caribbean Development Bank ad esempio dichiara di voler attrarre circa 30 miliardi di dollari di investimenti in reti e generazione da rinnovabili per rimpiazzare 4,75 GW di potenza da fossili entro il 2019.

C’è poi un fiorire di vari progetti, alcuni già in corso, come la Ten Island Renewable Challenge con cui la Carbon War Room di Sir Richard Branson vuole portare al 100% da rinnovabili un gruppo di isole attraendo investimenti privati; oppure l’iniziativa del Rocky Mountain Institute, appoggiata da Banca Mondale e OPIC, che ha già avviato progetti per 300 milioni di dollari. E ancora: la Asian Development Bank ha annunciato di recente che investirà 228 milioni nei prossimi 3 anni in progetti energetici nelle isole del Pacifico; la International Finance Corporation ha svelato un piano per portare l’elettricità con il fotovoltaico a circa mezzo milione di personein aree remote della Papua Nuova Guinea.

Ci sono poi i progetti governativi: solo per citarne qualcuno i 300 milioni di dollari in eolico di Aruba; la nuova politica pro-rinnovabili di Cuba, che presto potrebbe permettere la partecipazione addirittura a società private interamente di proprietà di stranieri; i 150 milioni di progetti in rinnovabili approvati dalla Repubblica Dominicana e le iniziative in altre nazioni-isola.

Non manca l’impegno a promuovere anche gli accumuli di energia, tecnologie strategiche per sistemi elettrici spesso molto piccoli che vogliono puntare sempre di più sulle rinnovabili non programmabili. Ad esempio le Hawaii, che puntano ad ottenere dalle rinnovabili il 40% del fabbisogno elettrico, di recente hanno lanciato un bando per la realizzazione di storage fino a 200 MW, mentre Porto Rico prevede che tutti gli impianti a rinnovabili, che nei prossimi 10 anni saranno finanziati con un fondo da 290 milioni, siano dotati di accumuli adeguati.

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Le isole del tesoro delle rinnovabili

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