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Il libro “Stess test” di Thimoty Geithner, segretario di stato al tesoro Usa dal 2009 al 2013, è un’autorevole e diretta ricostruzione dei fatti complessi che l’amministrazione Obama ha dovuto affrontare dopo l’esplosione della crisi finanziaria americana (2007) e di quella bancaria europea dal 2008. Il titolo è emblematico delle difficoltà nelle quali versava il sistema finanziario americano.

Gli attori principali del libro sono: Henry Paulson, già Ceo di Goldman Sachs e segretario al tesoro Usa dal 2006 al 2009 nell’amministrazione Bush; Larry Summers, vice segretario e segretario al tesoro Usa nell’amministrazione Clinton (1995-2001) e direttore del National Economic Council (Nec) dal dal gennaio 2009 al dicembre 2010 nell’amministrazione Obama.

Oltre alle oggettive questioni di gravissima crisi finanziaria negli Usa, il libro da conto dello scontro interno al potere finanziario americano tra la linea di gestione Paulson del “too big to fail”, che portò al discusso e inquietante unico fallimento della Lehman Brothers, e la dicotomia iniziale dell’amministrazione Obama indecisa tra la linea Summers, incentrata sull’espansione della massa monetaria, e quella Geithner che insisteva sulla necessaria riforma strutturale del sistema finanziaria americano. I riflessi di questi tentennamenti su fondamentali quanto divergenti approcci alla crisi hanno avuto riflessi devastanti in Europa.

Non è un caso, quindi, che dopo le dimissioni di Summers (dicembre 2010) la linea europea rigorista, ben rappresentata dal governo tedesco della cancelliera Merkel per il tramite del suo ministro dell’economia Schauble, sia prevalsa in Europa. Non c’era più spazio per i fautori di soluzioni “flessibili” che insistevano sulla soluzione puramente monetarista e di espansione del deficit di bilancio.

La Francia di Sarkozy tremava mentre era ancora fresco lo scandalo bancario noto come “affaire Kerviel” della Societé Générale (esploso nel 2008). Il sistema bancario francese era ad altissimo rischio di fallimento. Questa presa di coscienza obbligò il presidente Sarkozy ad aderire alle scelte rigoriste tedesche per cercare rifugio nel quadro europeo e dell’euro. Fu un’evidente inversione di politica francese che abbandonò l’Italia del governo Berlusconi al suo destino, trasformandola in agnello sacrificale europeo.

I fatti che seguirono nei primi 8 mesi del 2011 furono fatali per l’Italia. Al suo interno si dividevano gli uomini di governo su linee e affiliazioni contraddittorie: Tremonti, ministro dell’economia, che cercava di seguire la Germania per evitare di essere spinto nell’abisso; Frattini, ministro degli esteri, che seguiva la Francia e gli Usa, senza nulla fare per evitare la terribile umiliazione della guerra in Libia; Berlusconi, presidente del consiglio, che resisteva da solo forte della convinzione che gli Usa, e particolarmente il Fmi, non lo avrebbero abbandonato nella sua resistenza alla Merkel. La speculazione creata ad arte che fece esplodere gli spread sul debito pubblico italiano fu il colpo di grazia all’Italia.

Nella “guerra alla Germania” l’Italia è finita come il vaso di coccio. La lettera della Bce di Trichet al governo italiano e l’esclusione dalla Libia sono la testimonianza reale dell’implosione del sistema di governo italiano.

Quel che scrive Geithner nel suo libro a proposito delle richieste europee di far cadere il governo di Berlusconi, e della risposta americana di non sostenere tale scelta, sono con molta probabilità fedeli ai fatti. Quel che però non scrive è che nella valutazione delle opportunità, l’amministrazione di Obama ha compiuto una scelta pilatesca lasciando di fatto campo libero al commissariamento dell’Italia e alla successiva imposizione di governi di emergenza nazionale – Monti, Letta, Renzi – evitando ogni possibile svolgimento di elezioni. In questa scelta si legge tutta la sfiducia verso il popolo italiano, la nazione e le sue strutture politiche e parlamentari. È su questo che risulta difficile accettare silenti il ruolo del più alto garante della Costituzione e della nazione. Non chiarire con trasparenza – non basta, ed è anche irritante, dire che “non vi fu complotto” – rischia di spingere l’Italia verso una crescente anarchia politica con pericolosi rischi per la sua stabilità.

I pericoli che Napolitano non vuole vedere

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