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Davanti alla sfida rappresentata dall’intelligence cinese l’Italia ha la necessità di lavorare con i Paesi alleati per una difesa di punto, ha detto mercoledì Alberto Manenti, già direttore dell’Aise, alla presentazione del volume “China Intelligence” di Antonio Teti (Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara) presso la Sala Isma del Senato.

L’evento, moderato dal giornalista Gabriele Carrer di Formiche.net, è stato aperto dall’intervento del professor Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence, che ha sottolineato come il volume si focalizzi sull’intreccio tra lo spionaggio e l’emergere del digitale, un “tema decisivo” oggigiorno. Nell’ultimo decennio, infatti, la Cina ha assorbito un altro principio, spiega Teti nel volume: la consapevolezza che il mondo virtuale può rappresentare un formidabile ecosistema informativo per la conduzione di attività di spionaggio, controspionaggio, propaganda e condizionamento psicologico-comportamentale.

Nel suo intervento, Manenti ha raccontato la sua esperienza con la Cina: un battesimo datato 1988, in occasione di una fiera di armi in una Pechino in cui ancora era allestito il set del film “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci. Era ancora la Guerra fredda, uno dei tre periodi individuati dall’ex direttore dell’Aise, quando nella sfida tra Est e Ovest la Cina era “un’entità terza”. Un “periodo limitato di rapporti” in cui l’Occidente sperava nell’apertura. Poi la caduta del Muro di Berlino, il secondo periodo: la Cina inizia a conquistare l’Africa e diventa “ogni anno più aggressiva”. Infine, il “periodo ibrido”, quello post Primavere arabe, segnato dalla sfida “Noi e gli altri”, “l’Occidente e gli altri”, e dall’emergere dei Brics. Un processo evolutivo in cui, ha spiegato Manenti, alla sicurezza interna si è andata sommando anche una componente di proiezione esterna.

Anche Robert Gorelick, già capo della Central Intelligence Agency in Italia, ha raccontato un aneddoto “sul campo”, datato 2002: su richiesta dell’allora presidente americano George W. Bush, volò a Pechino per un incontro con i vertici dell’intelligence cinese; venne fissato un incontro a Washington un mese dopo; ma fu cancellato dal governo cinese. A dimostrazione, ha spiegato, di come la politica del Partito comunista cinese sia “sempre più importante di qualsiasi necessità strategica del servizio”. Oggi, ha osservato, l’intelligence cinese ha capacità “enormi” di cyber e disinformazione, considera l’interferenza politica “molto importante” ma ha ancora due problemi: analisti con “poca esperienza fuori dalla Cina” e che rischiano, in una dittatura, di scrivere ciò che il leader vuole leggere, e una humint “molto più debole”. Per ora. Anche perché, ha concluso Gorelick, Pechino ha più tempo per coltivare le sue reti rispetto all’Occidente.

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