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Se la Cina si ammala di debito, è un problema di tutti. L’ultimo Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, diffuso a margine degli Spring meetings a Washington, contiene un passaggio passato decisamente sottotraccia: il debito cinese è un grande bacillo per il mondo e il rischio di infettarsi è alto. Tutta colpa del costante aumento dei deficit sovrani, onda lunga della pandemia e dei piani per contrastare l’aumento dei prezzi, all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina. Ed è proprio questo il punto, il debito cinese continua a correre, con la ragionevole prospettiva di imbrigliare la crescita globale.

“I due grandi rivali economici del mondo, Cina e Stati Uniti, determineranno gran parte dell’aumento del debito pubblico globale nei prossimi cinque anni”, si legge nel documento messo a punto dal Fmi. Il quale, va detto, tira anche in ballo gli Stati Uniti, con la differenza però che l’economia americana vanta una salute migliore di quella cinese, con un Pil nel quarto trimestre del 2023, salito oltre le attese. “In entrambe le economie si prevede che il debito pubblico quasi raddoppierà entro il 2053”.

Stringendo il campo sul Dragone, Washington ha avvertito che “un rallentamento della crescita più ampio del previsto in Cina, potenzialmente esacerbato da una stretta fiscale involontaria dati i significativi squilibri fiscali nei governi locali (per l’appunto, il grosso della massa debitoria cinese si trova alla sua periferia, ndr) può creare rischi per il resto del mondo attraverso livelli più bassi di commercio internazionale, finanziamenti e investimenti esterni”.

Proprio poche settimane fa, lo stesso Fmi aveva lanciato un altro allarme sulla Cina, ma sul versante della crescita. Ritenendo probabile che il ritmo rallenti nei prossimi anni, per colpa delle incertezze legate a una crisi immobiliare senza precedenti e dal contesto internazionale. Secondo il Fondo monetario, il Pil del Dragone si attesterà quest’anno al 4,6% e scenderà al +3,5% entro il 2028. Nel 2023 il Pil cinese è salito del 5,2% nel 2023, poco sopra il target fissato da Pechino, ma la vera sfida è prevista proprio nel 2024. E “una contrazione più grave del previsto nel settore immobiliare potrebbe pesare ulteriormente sulla domanda e peggiorare la fiducia, amplificando le tensioni delle autorità locali sui conti pubblici e portando a pressioni disinflazionistiche e spirali macro finanziarie avverse”.

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