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Ogni epoca ha i suoi equilibri e le sue esigenze. Vale per la politica, per le imprese e chi le rappresenta. Dunque, anche e soprattutto per Confindustria. Tra poco più di tre settimane i 182 imprenditori del Consiglio generale di Viale dell’Astronomia si riuniranno per decidere il nome del successore di Carlo Bonomi al vertice dell’associazione, che negli ultimi quattro anni ha vissuto uno dei suoi momenti storici più difficili: prima la pandemia, poi lo tsunami dell’inflazione, infine l’urto dei tassi e le due guerre alle porte dell’Europa. Una combinazione che avrebbe messo knock out qualunque sistema d’impresa. E invece no.

Perché, dice a Formiche.net Francesco Delzio, gran conoscitore del sistema confindustriale e docente alla Luiss, i dati confermano quello che un po’ tutti pensano. E cioè che la resilienza dimostrata dalle aziende italiane in oltre 1.400 giorni decisamente in salita, non ha avuto eguali in Europa. E che oggi le imprese dello Stivale stanno meglio di dieci anni fa. Ed è proprio da questa premessa che parte la riflessione di Delzio, orientata a gettare le basi per una nuova Confindustria, capace di cambiare pelle, così come hanno fatto le aziende. E questo a prescindere da chi ne sarà timoniere.

Serve, insomma, un salto di qualità che permetta all’associazione di entrare in una nuova dimensione, guidata da un leader con spalle imprenditoriali larghe, una visione globale e un business sostenibile, che porti avanti un progetto di profondo rinnovamento del ruolo dell’organizzazione. In altre parole, è il messaggio sotteso di Delzio, una Confindustria dotata di luce propria, votata all’autonomia e in grado di seguire due bussole fondamentali: sviluppare una capacità autonoma di produrre idee e proposte di policy per costruire una nuova agenda di politica economica, fiscale, industriale e sociale.

“Negli ultimi anni le imprese italiane in media hanno reagito in modo straordinario alle varie crisi internazionali che si sono susseguite, sicuramente meglio rispetto a quelle francesi e tedesche. Lo dicono i dati. Oggi il loro stato di salute è migliore di dieci anni fa. Sono più internazionalizzate, più innovative, più redditizie e occupano più persone”, premette Delzio. “A fronte di questo cambiamento, di questa capacità di innovazione dimostrata sul campo dalle nostre imprese, oggi serve una nuova Confindustria che dimostri di aver compiuto lo stesso salto in avanti sul piano dell’innovazione. Per evitare, guardando l’associazione dal terreno di gioco quotidiano delle nostre aziende, di avere una Confindustria ancorata a scenari, ruoli e assetti non più al passo con i tempi. Il pericolo è un eccesso di scollamento tra associazione e territorio”.

A questo punto la domanda sorge spontanea: a che punto è oggi la fiducia delle imprese verso una Confindustria ancora non pienamente aggiornata? “Mettiamola così: c’è oggi un problema profondo di crisi di rappresentanza e di rappresentatività che riguarda non solo Confindustria ma tutti i corpi sociali intermedi, determinato da una serie di fattori. Il primo è il trend storico di individualizzazione dei bisogni e delle soluzioni, che riguarda sia le imprese sia i lavoratori e che supera le gabbie della contrattazione collettiva classica. Poi c’è il fenomeno, cui abbiamo assistito a partire dal governo Renzi, della disintermediazione progressiva del rapporto tra politica e imprese che si è arrestato realmente solo con l’esecutivo Draghi, che è tornato ad un pieno riconoscimento del ruolo delle parti sociali”, spiega Delzio.

“Detto questo un imprenditore, piccolo, medio o grande che sia vuole, esige, una rappresentanza all’attacco. Quella che immagino nei prossimi anni è una Confindustria “autonomista”, che sia in grado di sfruttare tutte le potenzialità dell’autonomia delle parti sociali, mettendo da parte il classico modello “concertativo”. Una Confindustria che abbia una voce più forte in Europa, che possa creare pensiero economico innovativo e influenzare la politica. Per questo sostengo che oggi Confindustria deve diventare un cantiere delle policy economiche, industriali, fiscali e sociali. Insomma, un riferimento in Italia e in Europa, forte di una capacità unica di elaborare politiche connesse ai bisogni delle imprese, dello sviluppo e dell’innovazione. Penso, per esempio, anche al Centro Studi di Confindustria: bisognerebbe investire molto su questa funzione strategica dell’associazione, perché diventi un riferimento per la stessa Commissione europea in termini di analisi e proposte sulle politiche industriali”.

Non è tutto. “Sfruttare in modo più efficace la leva dell’autonomia vuol dire utilizzare le relazioni industriali per fare innovazione, soddisfacendo quei bisogni dei lavoratori e delle imprese che la politica non riesce più a coprire. Penso, tra tutti, alla necessità di utilizzare in modo molto più intenso il welfare aziendale a sostegno alla natalità e della genitorialità”.

Fin qui il lato delle imprese. Poi però c’è il palazzo, con cui Viale dell’Astronomia dovrà necessariamente tenere un rapporto, rafforzandolo se possibile. Con il governo di Giorgia Meloni sarà possibile? Delzio ha pochi dubbi. “Mi aspetto, anzi vedo, una sintonia naturale, una convergenza di interessi. Questo è un governo che nasce per tutelare gli interessi di chi produce e di chi lavora, come ha dichiarato fin dal suo discorso di insediamento Giorgia Meloni. Detto questo, credo che si possa fare di più da questo punto di vista. La tendenza di questi anni è stata quella di inseguire l’emergenza, ma così facendo non si può mettere in campo una vera politica industriale. Per questo, riprendendo l’idea del cantiere delle policy che citavo prima, credo che Confindustria debba lavorare con il governo proprio per fornire strumenti e idee innovative per un futuro di crescita e innovazione. A beneficio dell’intera comunità”.

Più autonomia e più peso in Europa. La Confindustria che serve all'Italia secondo Delzio

A poco più di tre settimane dalla designazione del successore di Carlo Bonomi alla guida dell’associazione, ci si chiede se e come Viale dell’Astronomia debba cambiare passo, sposando la causa dell’autonomia a discapito della vocazione consociativa e facendosi fucina di buone policy. Conversazione con Francesco Delzio, docente alla Luiss e alla Sna

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