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Con un voto del 40% alle elezioni europee, il presidente del Consiglio Matteo Renzi dovrebbe dormire serenamente tra due cuscini. Non proprio se la sua “agenda” è incompleta e dato che siamo nel Paese dove lo stesso Giulio Cesare venne pugnalato dal proprio figlio adottivo dopo avere sgominato i Galli e, varcato il Rubicone, messo a tacere i suoi oppositori interni.

Questa volta, pur se all’apparenza la maggioranza è compatta e il “patto del Nazareno” viene considerato sacrosanto dai firmatari, qualcosa non quadra. Anche se di mestiere insegno economia e scrivo di musica, vivo a Roma da quando sono nato (con l’eccezione di 20 anni circa tra Gran Bretagna, Bruxelles – un non-luogo e non certo uno Stato o un Paese – e Washington), abito e lavoro in centro e ho orecchie per ascoltare.

Come sempre (pensate al verdiano “Un Ballo in Maschera”), il complotto viene dall’interno del Palazzo. Matteo Renzi avrebbe esternato a pochi amici la decisione di risolvere una volta per sempre i problemi delle “coperture” delle leggi di spesa che propone (80 euro e simili): riorganizzare il Ministero dell’Economia e delle Finanze ponendone parte alle sue dirette dipendenze a Palazzo Chigi, e re-introdurre – al fine di aumentare il gettito – la “tassa sul morto” (l’imposta di successione) sui ceti medi abbassando la franchigia (ora un milione di euro) e portando l’aliquota al 20% (ora la più elevata è l’8% per lasciti a terzi con cui non si è lontanamente imparentati). Nessuno ha detto a Renzi che quando tale tassa era in vigore i costi di esazione superavano il gettito: alla “vittima designata” certe cose è meglio non farle sapere.

La prima mossa (circolano bozze di decreti) ha dato la stura al complotto: nessuno – neanche Benito Mussolini – aveva mai progettato di “spezzettare” il Palazzo delle Finanze (come si chiamava all’epoca). Porre la “bollinatura” delle leggi alle dipendenze di Palazzo Chigi vuol dire dividere un corpo molto unito e, a torto o ragione, può essere letto come la volontà politica di calpestare ogni terzietà tecnica. Non piacerà certo alla Commissione Europea. Non lo gradiscono dirigenti e funzionari.

Quindi, furore. Ma non minacce di scioperi, come alla Rai. Infatti, le bozze di provvedimenti sulla “tassa sul morto” stanno diventando l’arma in mano ai complottatori. L’idea è stata partorita da emuli di Thomas Piketty in quel di Tor Vergata, i quali però non hanno tenuto conto né degli aspetti “deboli” nel pensiero e nei numeri del loro “maestro” né delle implicazioni. In primo luogo, il co-firmatario del “patto del Nazareno” considera un anatema il solo sentire parla di “tassa del morto” (di cui si è avvantaggiato alla grande il suo arci-avversario Romano Prodi) ed è, quindi, pronto a fare saltare il tavolo nella consapevolezza – ultimo rapporto Istat alla mano – che in un’Italia che invecchia anziani e pensionati sono la principale fonte di risparmio (per proteggere figli e nipoti).

In secondo luogo, nei Paesi in cui la “tassa sul morto” è stata re-introdotta e portata ai livelli elevatissimi (i maggiori nell’UE) di cui si parla, capitali ed investimenti sono corsi all’estero, con le conseguenze che si possono immaginare su crescita ed occupazione.

In ogni caso, le polemiche sulla “tassa sul morto” sarebbero tali da portare ad un accantonamento di riforme costituzionali e legge elettorale.

Pensaci su, Matteo.

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