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Il presidente Joe Biden e diversi altri membri dell’amministrazione statunitense sono sempre più frustrati dal comportamento di Benjamin Netanyahu, che, dopo un’apparente allineamento iniziale, adesso non sta ascoltando quasi nessuna delle indicazioni ricevute da Washington sulla gestione dell’invasione di Gaza – scatenata dal brutale attacco di Hamas del 7 ottobre. Lo scrive Barak Ravid su Axios, giornalista che ha sempre ottime fonti sui rapporti Usa-Israele. Certe informazioni non sono uniche, e se vengono fatte uscire sui media è probabilmente perché si vuole inviare un messaggio chiaro.

Sebbene pubblicamente Biden e gli Stati Uniti continuino a dare supporto alla reazione di Israele, in privato il tono delle conversazioni sta cambiando da un po’ di tempo. La ragione è che quella reazione israeliana è innanzitutto sproposita, al limite dell’essere incontrollata (ormai sostenuta ciecamente soltanto da supporter fanatici), ma anche e soprattutto perché è priva di prospettiva (e l’unica che emerge tira in mezzo dislocamenti dei palestinesi considerati non-starter da chiunque).

Su Biden ci sono pressioni interne, non bene nell’anno elettorale in cui cerca la rielezione. E pressioni internazionali, anche questo non bene visto che l’America ha bisogno di essere compresa, rispettata, creduta davanti alle pressioni dei rivali strategici (e, sempre considerando l’anno elettorale, tutto ciò di cui ha bisogno l’America diventa anche una necessità di Biden, che subisce gli attacchi del principale rivale, Donald Trump, il quale lo accusa di indebolire costantemente il Paese e di non essere in retti sensi mentre agisce).

”La situazione fa schifo e siamo bloccati. La pazienza del presidente si sta esaurendo”, ha detto un funzionario statunitense a Ravid. Biden non parla con Netanyahu dalla telefonata nervosissima del 23 dicembre, chiusa con un “questa conversazione è finita” e l’israeliano rimasto appeso al telefono mentre l’americano aveva riattaccato, infuriato per le decisioni di Gerusalemme di trattenere le tasse della Cisgiordania. È stato il segretario di Stato, Antony Blinken, e altri membri dell’amministrazione a tenere i rapporti con il governo israeliano, ma anche per loro non è stata una passeggiata di salute – anche perché durante l’ultimo viaggio, spiega una fonte, a Blinken è per esempio diventato chiaro che Netanyahu non avrebbe intenzione di sbloccare quelle tasse.

“C’è un’immensa frustrazione”, dice un altro funzionario ad Axios, mentre il Consiglio di Sicurezza nazionale cerca di limare gli attriti come dichiarazioni pubbliche sul mantenimento del rapporto Israele-Usa. Pacifico questo, ma il problema non è di carattere strategico – ossia a lunga gittata – piuttosto tattico, e riguarda la gestione della crisi in corso. Sul tavolo c’è una richiesta a breve termine: interrompere l’invasione su vasta scelta della Striscia e passare a operazioni più mirate contro i terroristi. Questo permetterebbe di avviare attività di ricostruzione, che potrebbero anche di coinvolgere altri Paesi della regione.

Se Israele non seguirà queste pressioni americane (legittima scelta sovrana), diventerà sempre più difficile per Biden sostenere Netanyahu. Anche perché, a quanto pare, Blinken è stato molto schietto con Netanyahu e il suo gabinetto di guerra, sottolineando che il piano del governo israeliano per il giorno dopo la guerra è “a pie in the sky”, ha detto un funzionario statunitense a Ravid. Definizione di contesto per a pie in the sky: una lontana illusione.

Cosa sta facendo Washington dunque? Due linee di azione emergono. Da una parte, rinvigorire l’offerta di un “mega-deal” con l’Arabia Saudita – che anche in questi giorni ha fatto capire di essere disposta alla normalizzazione, ma con l’intenzione di gestire la partita da una posizione di netto vantaggio. Dall’altra, non svincolata dalla prima, gli americani stanno mantenendo aperte le discussioni con altre figure della politica israeliana, per esempio Benny Gantz (rivale di Netanyahu, rientrato nel gabinetto di guerra per responsabilità nazionale), Yair Lapid (leader moderato che per ora non vuole dialogare politicamente non Netanyahu) e Yair Gallant, il ministro della Difesa che è il principale rivale del premier all’interno del loro partito (il Likud).

Spifferate nervose alla stampa. Netanyahu non ascolta Biden

Sui media americani escono informazioni su come le relazioni tra Biden e Netanyahu, già non rosee, si stiano sgretolando. Il premier israeliano non ascolta le indicazioni del presidente americano, che cerca vie alternative di pressione. Entrambi hanno necessità e interessi da proteggere

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