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Grazie all’autorizzazione del Gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Poche sere fa, al termine di un’esibizione a Siena, una celebre violoncellista americana, Tomeka Reid, ha raccontato che quest’inverno, per il freddo polare, è letteralmente fuggita da Chicago, la sua città. Le temperature minime in gennaio avevano raggiunto i 50 gradi sottozero, tanto da far sembrare desiderabile la temperatura dell’Alaska (meno 36). «Le autorità ci consigliavano di uscire di casa per non più di sette minuti, limite oltre il quale si rischiava la vita» ha detto la Reid ai commensali nel dopo-concerto. «Al confronto, l’Italia è un paradiso: voi sì che siete fortunati». Nelle scorse settimane il freddo in Nord America è stato così intenso che le cascate del Niagara si sono ghiacciate per due volte, trasformandosi in pittoreschi blocchi di ghiaccio, per la gioia dei fotografi. Le immagini sono state trasmesse dalle tv di tutto il mondo, e chiunque le abbia viste non può essersi chiesto: sarebbe questo il riscaldamento del pianeta di cui tanto si parla? Me lo sono chiesto anch’io. Ma, non essendo un esperto di previsioni climatiche, e non avendo perciò nessuna risposta pronta, mi sono limitato a leggere con grande curiosità cosa scrivono i cosiddetti esperti della materia. Ne ho ricavato una serie di informazioni/previsioni a dir poco contraddittorie, che spaziano dal clima alle fonti di energia, fino al problema del cibo, dell’acqua e della qualità della vita nei prossimi decenni. Le previsioni pessimistiche, al limite del catastrofismo, abbondano, e prevalgono su quelle ottimistiche, che a dire il vero mi sono sembrate meno farlocche. Ne riassumo alcune.

COME CAMBIA IL CLIMA

Nel nuovo «Rapporto al Club di Roma», un tomo di oltre 300 pagine, il norvegese Jorgen Randers avanza previsioni su tutto lo scibile umano per i prossimi 40 anni, dunque fino al 2052. In questo modo, Randers ha inteso celebrare i primi 40 anni trascorsi dal 1972, quando il Club di Roma pubblicò un celebre rapporto, «I Limiti dello sviluppo», che avanzava previsioni economiche, ambientali, climatiche e sociali proiettate sui successivi 130 anni. Essendo stato coautore di quel rapporto, Randers – in polemica con i numerosi detrattori che lo giudicarono uno studio catastrofista smentito dai fatti – ci tiene a sottolineare il fatto che non poche delle previsioni fatte allora si sono puntualmente verificate. Tra queste, quella sul riscaldamento progressivo del pianeta è forse la più importante. Una previsione che lo studioso norvegese conferma anche per i prossimi 40 anni: lo scioglimento dei ghiacciai polari – precisa – provocherà un innalzamento dei mari di 30 centimetri entro il 2052. E questo dovrebbe fin d’ora consigliare alle popolazioni della terra dove sia meglio andare ad abitare (mai sulle scogliere!), e dove investire. Per esempio, mai acquistare uno chalet per lo sci in Norvegia sotto i 400 metri d’altitudine, perché sarebbe «un pessimo investimento». E’ solo un primo assaggio, ma nel tomo di Randers c’è molto altro, sia per sorridere che per meditare.

IL DESTINO DI PETROLIO E GAS

Entro il 2052, sostiene Randers, le fonti di energia rinnovabili (solare, eolico, biomasse) avranno il sopravvento su quelle fossili (petrolio, gas, carbone). Il petrolio inizierà una curva discendente nel 2025; il carbone e il gas lo seguiranno pochi anni dopo. Vale la pena di ricordare che il primo Rapporto del Club di Roma prevedeva il picco nell’uso del petrolio alla metà degli anni Ottanta, e che nel Duemila la produzione di petrolio si sarebbe dimezzata. Una previsione fallace, che ora viene spostata in avanti di una quarantina d’anni, ma non per questo più credibile. Il primo a dire l’esatto contrario è il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, che nel recente saggio sulle nuove energie ha ricordato che la produzione di greggio nel Duemila, invece di dimezzarsi, aumentò del 25 per cento rispetto a quella degli anni Ottanta. Non solo. Mentre per il Club di Roma il petrolio era prossimo all’esaurimento dopo i primi 150 anni di sfruttamento, ora grazie allo shale oil – sostiene Recchi – «abbiamo risorse disponibili per almeno altri 180 anni». Non è tutto. Se si considera che l’abbondanza di gas ottenuta con le nuove tecniche di estrazione (shale gas) st spingendo il presidente Usa, Barack Obama, a ipotizzare la vendita del gas americano all’Europa per contrastare il dominio della Russia di Putin nel settore, è evidente che le fonti di energia fossile domineranno la scena economica ancora a lungo, certamente oltre il 2025.

SALARI, UNA TRISTE PREVISIONE

Il rapporto di Randers avanza una previsione per il 2052 che l’autore definisce «triste, non catastrofica». Ci saranno tre miliardi di poveri. E il miliardo di esseri umani che vive nella parte ricca del mondo dovrà rassegnarsi a vivere meno bene, «senza un reale aumento dei salari, con consumi pro capite stabili o in calo, anche se si continuerà a lavorare duro». All’opposto, Recchi fa notare che i pessimisti sono stati già smentiti anche su questo versante: le persone costrette a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno (i poveri) erano 1,9 miliardi nel 1990 e sono diminuite a 1,3 miliardi nel 2008, dal 43 al 22,7% della popolazione mondiale.

DOVE ANDARE A VIVERE?

Ma che fare per evitare le catastrofi in arrivo? Randers suggerisce di «emigrare in una nazione che sia in grado di prendere decisioni». Per scampare ai costi e alle tasse che saranno imposte a causa del futuro disastro climatico, converrà scegliere «una nazione che non si appoggi unicamente alle strutture della democrazia rappresentativa e del libero mercato». Gli Stati Uniti? No, meglio la Cina, sostiene Randers. O la Germania, dove «il parlamento ha convinto il contribuente a pagare il conto del passaggio alle fonti rinnovabili con prezzi più alti per l’elettricità». Insomma, un futuro con più dittature e più dirigismo, meno democrazia e meno mercato. A me questa previsione fa venire i brividi nella schiena. Ma le predizioni catastrofiche del Club di Roma, finora non si sono mai avverate.

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