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Dopo i mercati e prima dell’Europa e delle due agenzie di rating Fitch e Moody’s (10 e 17 novembre), arrivano i primi giudizi da parte delle imprese. Che non sono certo secondari per la manovra di Giorgia Meloni (qui l’intervista alla sottosegretaria all’Economia, Lucia Albano). C’era attesa nella sala convegni del Senato per le audizioni delle principali associazioni, propedeutiche all’approdo della finanziaria in Parlamento, dove Palazzo Chigi si aspetta l’approvazione definitiva (il governo ha dato indicazione di non presentare emendamenti alla maggioranza) entro metà dicembre. Banche e imprese edili, oggi, hanno detto la loro, stilando una sorta di taccuino per l’esecutivo.

L’ORA DEL RISPARMIO

I primi a prendere la parola sono stati i banchieri dell’Abi. I quali hanno essenzialmente concentrato l’attenzione sul risparmio e su come esso possa essere una leva per lo sviluppo. Il cuore della questione, ha spiegato il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, è trasformare il risparmio in investimento, anche con un occhio di riguardo al mercato dei capitali. Un tema caro al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che più volte ha auspicato la creazione di strumenti con cui valorizzare il denaro degli italiani, anche con un più robusto ricorso alla Borsa.

Per stimolare la crescita in Italia “occorrono misure che incentivino la canalizzazione del risparmio verso investimenti a medio-lungo-termine. Occorrono interventi per attrarre strutturalmente nell’economia la liquidità accumulata in questi anni grazie ai risparmi degli italiani e, al contempo, per incentivare l’afflusso di capitali esteri”. In questo senso, “la proposta che l’associazione da tempo avanza è quella di prevedere una tassazione inferiore per il risparmio investito nel medio-lungo periodo rispetto ad operazioni speculative di breve o brevissimo termine”.

Ma non è tutto. Nelle valutazioni delle banche c’è stato spazio anche per il debito. “In un contesto connotato da una politica monetaria restrittiva, da una elevata incertezza e da una forte volatilità dei mercati finanziari in Italia occorre mantenere i saldi di finanza pubblica. La dinamica del debito pubblico richiede ormai nuovi paradigmi di contenimento. Come rappresentato dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli in più occasioni, occorre porre un tetto al debito pubblico italiano, che non può crescere in cifra assoluta all’infinito e che sottrae risorse alle iniziative sociali pubbliche e penalizza la competitività internazionale delle imprese”. Un chiaro, esplicito, riferimento al deficit del 4,3% previsto per il 2024.

LA MINA DEL SUPERBONUS

Ma non ci sono solo le banche ad aver fornito al governo qualche suggerimento migliorativo. Anche le imprese di costruzioni sono scese in campo, se non altro per il fatto di essere uno dei comparti più esposti del momento. Il Superbonus si è rivelato un autentico disastro per le finanze ma soprattutto per le stesse aziende. Le quali ora reclamano un salvagente. “Per il 2024, le modifiche intervenute sul Superbonus, che ne hanno determinato il depotenziamento e soprattutto il venir meno della possibilità di cedere il credito o di optare per lo sconto in fattura, avranno sicuramente un effetto negativo sui livelli produttivi del comparto della manutenzione nel settore edilizio, con effetti per la crescita economica”, ha avvertito l’Ance, l’Associazione delle imprese edili, per bocca della presidente, Federica Brancaccio.

Per la quale, “a compensare l’arresto delle agevolazioni fiscali per la riqualificazione degli edifici, non sta poi contribuendo il Pnrr la cui attuazione registra ritardi: la Nadef ha rivisto al ribasso la previsione di spesa nel biennio 2023-2024 e con una conseguente maggiore concentrazione della stessa negli anni 2025-2026”.

LA QUESTIONE FISCALE

Non è finita qui. Quello che temono oltre ogni cosa le imprese edili, è l’impatto fiscale della stessa manovra. “Il disegno di legge di bilancio aumenta il prelievo fiscale sulla casa di 1,9 miliardi in tre anni. Le misure che aumentano il prelievo sulla casa riguardano l’innalzamento dall’8% all’11% della ritenuta a titolo di acconto operata dalle banche e da Poste sui bonifici di pagamento delle spese agevolabili con i bonus edilizi e la nuova forma di tassazione delle plusvalenze realizzate dalla vendita di immobili oggetto di interventi agevolati con il Superbonus, che avvenga entro dieci anni dalla fine dei lavori”.

A questo punto non resta che auspicare “che le maggiori entrate che deriveranno dall’attuazione di queste misure, appunto 1,9 miliardi in tre anni, e che nel testo della manovra sono utilizzate per finanziare interventi al di fuori del settore, siano quantomeno destinate alla riduzione della pressione fiscale sulla casa e servano a finanziare incentivi utili alla rigenerazione urbana delle nostre città”.

Risparmio e tasse. I consigli di banche e imprese edili sulla manovra

In attesa della valutazione dell’Europa, di Fitch e di Moody’s è il mondo produttivo a esprimersi sulla manovra. Per le banche è il momento di rimettere il risparmio degli italiani al centro del villaggio, mentre secondo le imprese edili la fine del Superbonus rischia di essere letale per le aziende del mattone

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