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Il clima pasquale dovrebbe suggerire pace e buona volontà e con impegno cristiano cerco insistentemente di essere obiettiva. Ma i fatti non mi convincono fino in fondo. Dubito infatti che le scelte del giovane Renzi in merito alla spinta propulsiva di pari opportunità donne e uomini, abbia un risvolto di vera matrice riformista. Cerco di spiegarmi. Vero è nella Pubblica Amministrazione passi avanti ne sono stati fatti: tra le nuove nomine del Governo Renzi troviamo quattro donne nominate Presidente di importanti aziende pubbliche: Emma Marcegaglia all’Eni, Patrizia Grieco all’Enel, Luisa Todini alle Poste e Catia Bastioli a Terna e una vera professionista delle professioni Marina Calderone Presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro ( che è un discorso a parte!)nel cda di Finmeccanica.

Contiamo pure AnnaMaria Tarantola già alla Rai dal 2012 come prima presenza femminile nelle 29 società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze ai vertici: una donna dopo Lorenza Lei che si distinse per una ottima permanenza interrotta da logiche politiche aberranti. Dunque ora le Presidenti donna sono 7 su 29 nelle società controllate dal MEF e il numero di consiglieri è aumentato. Vediamo se così si incoraggiano altri decisori pubblici a mettere donne anche in ruoli più operativi in altre società. La questione poi della scelta di 5 capolista alle europee del PD e di altre coalizioni nelle liste di altri partiti pare consegnare una speranza in più di una lenta ma continua e faticosa presenza femminile nella politica nostrana anche se, hoibò non è dato sapere per esempio l’elenco dei cda in scadenza sia delle società a partecipate e controllate così da “sostenere” concretamente la coerenza del rispetto delle pari opportunità.

La presenza di alcune Ministro signore come Marianna Madia oggi che ha al suo fianco un Capo Dipartimento della PA un’altra signora dirigente è senz’altro un ottimo auspicio di poter proseguire sui temi del lavoro e delle Pari opportunità con altrettanto vigore. Infatti Madia nel suo programma di mandato tra le altre priorità ha scelto la conciliazione dei tempi di vita e delle pari opportunità nei ruoli di vertice nella P.A. evidenziando la necessità di valorizzare le donne, che rappresentano la metà della forza lavoro nella pubblica amministrazione e che tuttavia non riescono a emergere nelle posizioni di vertice di tutte le carriere pubbliche.

Dunque la necessità di aiutare, senza distinzioni, i lavoratori del settore pubblico a conciliare vita e lavoro, favorendo la genitorialità e le esigenze di cura familiare e la valutazione delle performance di genere. Tra le azioni specifiche da intraprendere, rendere il part-time più flessibile e comunque l’orario di lavoro; incentivare la presenza di nidi nelle amministrazioni al di sopra di un certo numero di dipendenti e forme di convenzione con strutture esterne per i dipendenti; favorire l’equilibrio di genere nell’affidamento degli incarichi, sulla base dell’unificazione dei ruoli.

Stesso incipit lo troviamo nella Delega al lavoro oggi al CDM e novità interessanti anche per maternità e conciliazione tempi vita e lavoro, con misure incoraggianti a favore di una maggiore inclusione delle donne nel mondo del lavoro. Infatti la delega conferita al Governo nel Capo II all’art. 5 in materia di maternità e conciliazione ha la finalità di contemperare i tempi di vita con i tempi di lavoro dei genitori. L’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di migliorare l’inclusione lavorativa delle donne che fino ad ‘ora sono costrette a scegliere fra avere dei figli oppure lavorare.

Tra i principi e criteri direttivi più significativi ciò che abbiamo insistentemente proposto noi come tutteperitalia e come Consigliera Nazionale di parità consegnando e pubblicando le nostre considerazioni in tempi precedenti: introdurre a carattere universale l’indennità di maternità anche per il lavoro subordinato con certezza di versamento dei contributi, garantendo alle lavoratrici madri parasubordinate, il diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro; abolire la detrazione per il coniuge a carico ed introdurre il tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare; incentivare accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di detrazioni previste per la produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti; favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona.

Altra novità importante. Con la legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (14G00069) (GU n.81 del 7-4-2014 ) trova attuazione il principio della parità di genere anche nelle giunte comunali. Il comma 137 dell’articolo 1 prevede infatti:
“Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, con arrotondamento aritmetico” Con questa disposizione quindi si mette in atto il principio della parità di genere nelle giunte comunali, prevedendo che negli organi esecutivi dei comuni, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico.

Nel corso dell’esame del Senato sono stati esclusi dall’ambito di applicazione della norma i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti. Questa norma può sostanzialmente considerarsi una conferma rispetto a quanto stabilito fino adesso anche dalla giurisprudenza amministrativa, che nel rispetto del dettato costituzionale previsto dagli art. 3 e 51 cost, che garantiscono l’assoluta eguaglianza fra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, ha nella maggior parte dei casi annullato i decreti di nomina del Sindaco della Giunta comunale, ove non rispettosi di tali principi (caso TAR Puglia – Lecce -) , salvo casi in cui sussistano delle adeguate motivazioni che hanno impedito il rispetto di tali equilibri (ad esempio si veda il caso del TAR Lombardia –Milano) .

Torniamo ai nostri ragionevoli dubbi. Il valore simbolico che Renzi ha dato per i vertici con presenze femminili non può essere salutato con enfasi poiché non ci possiamo accontentare di non poter contare su regole scritte nero su bianco ma solo su buona volontà simbolica. Infatti dopo la sconfitta alla Camera sulla presenza paritaria a liste bloccate , non voluta dalle cordate bipartisan maschiliste e conservatrici, si è barattato con la presenza di donne altrove. E’sempre comunque una scelta del leader di turno (prima Berlusconi ora Renzi).

Sono infatti convinta che non bisogna chiedere solo alle donne competenza confondendo la politica di promozione del genere femminile con il diritto della pluralità. Le competenze devono essere chieste ad entrambi i generi e i partiti devono garantire le regole fondamentali della democrazia rappresentativa e quindi della costituzione e delle leggi.

L’autentica democrazia sta in regole che offrano ai generi l’opportunità di competere e quindi di potersi rappresentare senza un leader che li porti come un privilegio e dunque casualmente. Le donne e la loro promozione non può essere usata ad personam e secondo le convenienze del leader di turno. La differenza è come abbiamo sempre detto e scritto, tra le quote garantite alle minoranze e il riconoscimento nelle leggi che regolano la rappresentanza elettorale, dell’esistenza e dell’esigenza di rappresentare i due generi di cui si compone l’intera umanità e dunque la cittadinanza.

A noi non interessano operazioni di marketing politico. Sotto il claim delle donne al potere si nasconde una incerta sostanza politica e penso che ciò danneggi proprio le donne. Poiché il genere femminile è ancora discriminato e soggetto a scorribande, donne trattate spesso da suddite e non cittadine. Dunque attenzione signore.

Donne e potere: i rischi di una politica strumentale

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