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Proviamo a mettere in relazione gli studi e i dibattiti sugli interventi, le normative e le problematiche della valorizzazione del patrimonio pubblico con i dati del bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016 approvato con legge 27 dicembre 2013, n.148.

Lo scopo è soprattutto quello di dimostrare l’assoluta inconsistenza che assumono nelle previsioni di bilancio i tentativi di valorizzazione del patrimonio dello Stato in termini di maggiori entrate e, ancora di più, come elementi suscettibili di produrre significative riduzioni del debito pubblico, cui mira gran parte della normativa vigente.

Partiamo dalla prima relazione più immediata: le entrate previste nella categoria XIII “Vendita di beni dello Stato” del Titolo III dello stato di previsione delle entrate “Alienazione ed ammortamento di beni patrimoniali e riscossione di crediti”. Le previsioni nel triennio, uguali sia per competenza che per cassa, sono le seguenti (in milioni di euro):

Vendita di beni dello Stato

2014: 510;

2015: 509;

2016: 508

Esse rappresentano nel 2014 il 27,4% delle entrate del titolo III, che contengono
tuttavia valori meramente nominali afferenti agli ammortamenti dei beni
patrimoniali che si compensano in spesa, pari a 1.053 milioni euro.

Ciò che colpisce è che dette entrate rappresentano soltanto i nove millesimi delle entrate finali previste in 545.411 milioni di euro (vale a dire nulla!).

Si dirà che, in attesa dell’attuazione dei provvedimenti previsti dalla normativa in vigore sulla valorizzazione del patrimonio pubblico, si tratta di una stima prudente. Con le variazioni di bilancio nel corso dell’esercizio sarà sempre possibile introdurre nuovi elementi di previsione di maggior significato e incidenza. Tuttavia l’evidente inconsistenza della previsione, la reiterazione anche per gli anni 2015 e 2016 e l’eguaglianza tra le previsioni di competenza e le previsioni di cassa inducono a ritenere che si è ancora molto lontani dall’utilizzare tale fonte di entrata.

Ciò risulta ancora più evidente se tale entrata, del tutto irrisoria, viene posta in relazione con il grave quadro complessivo della finanza pubblica e dell’indebitamento, quale risulta dalle previsioni di competenza del bilancio dello Stato per il triennio 2014-2016 e, ancora di più, dalle previsioni di cassa per il medesimo triennio. Queste ultime, come è noto, non hanno valore di autorizzazione, ma costituiscono un elemento conoscitivo di rilievo. Dunque, in base alle autorizzazioni e alle limitazioni previste dall’articolo 1 della legge di stabilità 2014, il saldo netto da finanziare e il ricorso al mercato in termini di competenza sono previsti come segue nel triennio di riferimento (in miliardi di euro):

– Saldo netto da finanziare 2014: – 44,0; 2015: -13,3; 2016: + 2,5
(spese finali – entrate finali)
– Ricorso al mercato 2014: 279,6; 2015: 268,0; 2016: 232,1

Se di considerano le stesse grandezze con riferimento alle previsioni di cassa, la situazione è la seguente:

– Saldo netto da finanziare 2014: – 112,2; 2015: – 77,9; 2016: – 62,1
– Ricorso al mercato 2014: 347,9; 2015: 332,5; 2016: 296,8

Ancora, sempre con riferimento alla previsioni relative al debito pubblico, gli oneri di ammortamento sono previsti come segue sia in termini di competenza che in termini di cassa (in miliardi di euro):

– Interessi passivi 2014: 93,3; 2015: 96,6; 2016: 98,7
– Rimborso del debito pubblico 2014: 235,3; 2015: 254,3; 2016: 234,3

I dati esposti si prestano a molte considerazioni che vanno dal permanere di una situazione di disavanzo strutturale alla forte incidenza in crescita degli interessi passivi, dal consistente ricorso all’ulteriore indebitamento, non tutto destinato al rinnovo del debito, alla maggiore entità delle previsioni di cassa rispetto a quelle di competenza, che lasciano intravedere notevoli problemi di scarsa liquidità, fino all’assenza di misure effettive sulla riduzione del debito pubblico.

In sintesi, i dati esposti pongono in drammatica evidenza la particolare gravità della situazione della finanza pubblica a tutti nota, ma forse non sufficientemente conosciuta nella sua connotazione specifica.

In realtà, le previsioni suddette rendono fortemente problematico il rispetto delle nuove regole introdotte dal Fiscal Compact recepite nel nostro ordinamento con la radicale modifica dell’articolo 81 della Costituzione sul principio del pareggio del bilancio e con la nuova disciplina dell’ordinamento di contabilità e finanza pubblica dettata dalla legge 31 dicembre 2009, n.196, modificata sostanzialmente in diverse parti dalla legge 7 aprile 2011, n.39 adottata qualche mese dopo l’adesione al Patto di bilancio dell’Unione Europea.

In questa situazione il problema del debito pubblico e della sua riduzione permane in tutta la sua gravità e nella prospettiva più incerta. In tale quadro il ricorso alla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico per arginare o ridurre il debito si manifesta come un’arma spuntata ancora tutta da inventare. L’entrata prevista per il 2014 dalla vendita dei beni dello Stato è del tutto inconsistente e rappresenta infatti soltanto poco più di 18 millesimi del ricorso al mercato e di 54 millesimi degli interessi passivi!!!

Leggi l’analisi completa

Caro Padoan, vendere gli immobili statali per abbattere il debito è un'arma spuntata

Proviamo a mettere in relazione gli studi e i dibattiti sugli interventi, le normative e le problematiche della valorizzazione del patrimonio pubblico con i dati del bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016 approvato con legge 27 dicembre 2013, n.148. Lo scopo è soprattutto quello di dimostrare l’assoluta inconsistenza che assumono nelle previsioni di bilancio…

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