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Bene, ci siamo. La casa del nuovo centrodestra italiano ha messo la prima pietra importante per la ricostruzione di un’area popolare appetibile da milioni di italiani.

Già, perché di questo si tratta. L’accordo elettorale per la lista unica alle elezioni europee di Nuovo centrodestra, Udc e Popolari getta un barlume di speranza sul destino politico del quid elettorale, di fatto, più imponente del nostro Paese.

Come ha spiegato Michele Arnese nell’editoriale di Formiche.net, non sono mancati, ed è ovvio, mormorii, mal di pancia e qualche sorriso. Non è mancato chi vi ha visto unicamente una soluzione per affrontare l’esame del 25 maggio con un grado maggiore di certezza. In realtà, la sostanza politica dell’accordo non sta nei vertici dei movimenti, ma nel necessario cammino di semplificazione e razionalizzazione dell’offerta, imposto dalla domanda.

Gli elettori hanno fatto capire, specialmente con il disimpegno e l’astensione, di non gradire le sfumature e di volersi riconoscere in macro aree di appartenenza non personaliste.

Questo vuol dire che la lista unica è necessaria, ma non basta. La cosa veramente rilevante deve essere fatta durante la ventura campagna elettorale: disegnare la cornice culturale del centrodestra italiano, dandogli una forma ampia, interclassista e comprensibile, ben saldata su principi filosofici unitari che possano poi diventare fattori inclusivi di altre forze collaterali, garantendo alleanze con i movimenti conservatori più a destra, nonché dialogo a sinistra.

Il carattere principale di questa identità deve essere, com’è in genere per tutti i partiti popolari europei, la persuasione chiara che la democrazia non è un codice di procedure da seguire con il beneficio dell’inventario, ma l’unico modo conosciuto finora con cui le comunità si autodeterminano e realizzano concretamente.

Il primato della dimensione umana rispetto a quella istituzionale non serve a cancellare le istituzioni, ma a riconoscere che la politica è al servizio dei diritti umani fondamentali e dell’espansione della prosperità dei popoli. E tali valori di base devono essere presentati, promossi e comunicati con coerenza, fino a diventare volano stabile di consenso e di crescita.

Un secondo carattere è legato invece all’idea di società e di responsabilità diretta dei cittadini che si vuole avere. L’educazione, la cultura, l’attività economica di imprese e di liberi professionisti deve essere affidata, innanzi tutto, alle persone, alla famiglia, all’intraprendenza convergente dei singoli, non allo Stato, ai partiti, e tanto meno alla politica come tale.

Il segno che contraddistingue la cultura popolare, in definitiva, è che essa lo sia. Vale a dire che si parta dalla realtà viva dei cittadini e non dagli organismi prodotti dai cittadini stessi.

Questa è la prospettiva ideale del centrodestra, in ciò logicamente alternativa al centrosinistra, un’area culturale che affondi le radici in una visione ottimista dell’uomo e delle sue capacità operative, limitando al minimo i guazzabugli del potere. Come spiegava Prat de la Riba, il centrodestra deve guardare alla nazione come a “un’entità viva, organica e naturale, che esiste a dispetto delle leggi che la negano e distinta dalle creazioni artificiali dell’uomo”.

La genesi di una lista unitaria, si diceva, è un primo passo in questa direzione. E Arnese ha ragione nel dire che è importante guardare a Forza Italia con apertura e positività. Quello che viceversa non è opportuno fare è seguire un grande condottiero, che ha perduto una giusta battaglia, alla deriva.

Il nuovo centrodestra italiano appena nato ha bisogno esattamente del contrario. Deve, in definitiva, essere alternativo in tutto al centrosinistra, restando però forza culturale, intellettuale, economica e democratica di cambiamento, non strumento acritico di guerra personale. Solo così tutti i moderati potranno possedere finalmente una casa accogliente che li attende, e la democrazia italiana una ragionevole normalizzazione.

Come costruire davvero il Centrodestra Popolare

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