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Mille e cinquecento – 1500 – morti già dall’inizio dell’anno per mano del peggior gruppo islamista in giro per il pianeta: Boko Haram, l’organizzazione combattente che mira a creare uno stato islamico nel nord della Nigeria. Si stima che oltre la metà siano civili. A questi si aggiungano i 250 mila (ma c’è chi dice 300) che sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni – molti dei quali rifugiati nelle tende dell’Unhcr.

Fondato nei mesi a cavallo tra il 2001 e il 2002, l’entità creata da Ustaz Mohammed Yusuf con il nome di Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e il Jihad – Boko Haram è una sorta di soprannome datogli nelle zone di Maiduguri, la città ancestrale, che in hausa significa più o meno “l’educazione occidentale è vietata”) – è diventata attiva nel 2009, ma negli ultimi mesi si è contraddistinta per l’escalation di violenze. L’ultimo degli attentati è di ieri 1 aprile: 15 morti e 17 feriti tra i civili, per l’esplosione di un kamikaze proprio a Maiduguri.

Ma secondo alcuni analisti, il punto di non ritorno è stato segnato con quello che è successo nella mattinata del 14 marzo: l’attacco alla caserma militare di Giwa, nella capitale dello stato del Borno. I militanti si sono lanciati a viso aperto contro l’esercito ne tentativo di liberare alcuni compagni detenuti (secondo il governo si sarebbe trattato di un metodo per rinfoltire le truppe). Lo scambio a fuoco è stato violentissimo, tanto che da quel giorno – e per le rappresaglie dei giorni successivi – è scattata la denuncia di Amnesty International sulla violazione del diritto internazionale e dei diritti umani, e per crimini di guerra, commessi da entrambe le parti.

Perché se è vero che gli islamisti hanno assaltato la caserma, è altrettanto vero era noto a tutti come in quel luogo si consumassero torture, violenze, omicidi dei militanti. Così come omicidi deliberati sono stati quelli eseguiti dopo che le forze di sicurezza governative avevano ripreso il controllo della situazione (anche grazie all’intervento dell’aviazione): testimoni raccontano di aver visto un gruppo di autodifesa locale, che prende il nome di JTF (Joint Task Force), bloccare diversi detenuti in fuga (alcuni in pessime condizioni di salute) nelle zone di Jiddari Polo e ammassarli insieme, per poi ucciderli con il consenso dell’esercito. Un testimone ha detto alla BBC di aver contato 198 cadaveri, e dalle riprese aeree sembrerebbero esserci tre fosse comuni intorno alla città.

«Le atrocità effettuate da Boko Haram sono davvero scioccanti, e hanno creato un clima di paura e insicurezza», ha detto il direttore di Amnesty Int. Africa, Netsanet Belay, aggiungendo che comunque «questo non può essere utilizzato per giustificare la brutalità della risposta comminata dalle forze di sicurezza nigeriane». I morti procurati dalla vicenda ammonterebbero a 600, secondo i dati forniti all’organizzazione di Belay.

Ora il rischio è che il conflitto prenda una deriva ulteriormente violenta, con le forze militari che procedono ad esecuzioni extragiudiziali, scendendo al medesimo livello dei terroristi.

Un’altra piaga per l’Africa, un’altra per la Nigeria: un paese che vive l’enorme contraddizione del passaggio dal “continente buco nero” a “benchmark per il ritmo di crescita nazionale”, immerso nelle profonde disparità, così come nella brillantezza intellettuale ed economica: background complesso delle azioni del gruppo terroristico attualmente più sanguinario del mondo – solo l’Isis in Iraq può essere paragonabile a Boko Haram per numero di morti.

E a proposito di Africa e di Isis, l’Aqim (al-Qaeda nel Maghreb Islamico) ha annunciato il sostegno al gruppo di al-Baghdadi nella lotta in Siria e in Iraq: come se non bastassero già tutti i problemi del continente.

 

Boko Haram: un altro attacco alza il triste record di morte

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