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Taiwan è un dossier scomodo per la Cina. E gli Usa continuano il loro pressing

Probabilmente l’aspetto più singolare dell’annuncio della nuova commessa militare che gli Stati Uniti hanno approvato verso Taiwan è che – per ora, va sottolineato – Pechino non ha reagito in modo aggressivo. La Cina ha chiesto agli Stati Uniti di “annullare immediatamente” il progetto di vendita di armi a Taiwan, ma ha mantenuto toni controllati – ieri invece il ministero degli Esteri cinese ha accusato gli Usa di “bullismo unilaterale”, “un tumore” globale, parlando delle politiche americane contro l’Iran. Per il Dragone l’isola è una provincia ribelle, e il presidente Xi Jinping ha dichiarato pochi mesi fa di essere disposto a riprenderne il controllo, prima o poi, anche con la forza sotto la luce dottrinale della “One China”. Il dipartimento di Stato, che si occupa di scrutinare le forniture militari all’estero, ha scritto che i nuovi equipaggiamenti aiuteranno Taiwan “a mantenere una credibile capacità difensiva” (al di là di tutto, il Pentagono non ritiene la Cina adeguatamente preparata per attaccare l’isola, e le nuove armi aumentano il gap).

LO SCENARIO

Di prove di forza si tratta. Gli Stati Uniti sanno perfettamente che il dossier è considerato non trattabile dai cinesi, un affare interno su cui non vogliono assolutamente ingerenze. Washington anche per questo stringe i rapporti con i taiwanesi, che a breve andranno alle elezioni con i soliti crucci pro-Cina o pro-indipendenza. La presidente in carica, Tsai Ing-wen, è stata una dei primi leader contattati telefonicamente da Donald Trump ancora prima di inaugurare ufficialmente la sua era nello Studio Ovale. L’americano aveva chiaro che il suo mandato sarebbe stato dedicato al contrasto tra potenze con la Cina, e ha rapidamente compreso quali fossero i dossier da stressare – Taiwan, dove sono aumentate le relazioni; Mar Cinese, dove è cresciuta la presenza americana; diritti umani, dove si dilatano le attenzioni al Dragone.

Per esempio, ieri il dipartimento di Stato ha dato la notizia della creazione della Commission on Unalienable Rights. La commissione – già criticata dagli oppositori – “fornirà la forza intellettuale per quello che io spero sarà uno dei più profondi riesami dei diritti inalienabili nel mondo dalla Dichiarazione Universale del 1948”, ha detto Mike Pompeo: un aggiornamento necessario anche davanti alle nuove tecnologie, come per esempio i metodi di polizia predittiva utilizzati dai cinesi per rinchiudere i musulmani uiguri considerati pericolosi nei campi di rieducazione dello Xinjiang; pratiche più volte denunciate da Washington come liberticide.

ARMI LETALI

Se questo è il contesto, l’entità della nuova fornitura di armi – la seconda approvata nel giro di pochi mesi – risulta quasi inconsistente, se non fosse che stavolta non si tratta di semplici piani di addestramento per piloti e ammodernamento della flotta di F-16, ma si parla di una fornitura di 108 carri armati Abrams e 250 missili Stinger, oltre che mitragliatrici, granate assordanti, munizioni. Ossia armi letali per un totale di 2,2 miliardi, come annunciato dal Pentagono. Che arrivano a Taipei in una fase delicata sia per le relazioni Usa-Cina, con i colloqui commerciali rilanciati dopo l’incontro al G20 tra Trump e Xi, sia per l’isola. Come detto, tra poche settimane si andrà al voto, e le percentuali di Tsai stanno salendo anche per effetto indiretto delle proteste – momentaneamente vittoriose – a Hong Kong.

Un effetto domino contro l’autorità centrale del Partito comunista di Pechino. Taiwan però, oltre a essere un dossier scomodo per i cinesi su cui gli americani possono muoversi per innervosire Pechino e costruire un consenso interno sfavorevole alla Cina, è una parte della cintura di sicurezza americana nel Pacifico e parte del sistema di interscambi commerciali nella regione. Un tassello di influenza importante, a cui nessuno vuol rinunciare. Nei giorni scorsi un sottomarino nucleare cinese classe Shang s’è mostrato in emersione tra le acque di Matsu Islands, il principale punto di vicinanza tra la Cina continentale e il territorio sotto amministrazione taiwanese. Lo Stretto di Taiwan è stato frequentemente bazzicato da navi da guerra americane (e alleate) per dimostrare presenza davanti alle coste cinesi.

(Foto: archivio US Naval Institute, esercito taiwanese)


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