Il ritorno di José Mourinho in Italia, nella Roma americana della famiglia Friedkin, rappresenta la perfetta metafora della dimensione globale che la città eterna ricopre da sempre e che oggi punta a riconquistare dopo oltre un decennio avaro di soddisfazioni. A maggior ragione in questa fase politica di campagna elettorale in vista del voto per il rinnovo del Campidoglio
Non era mai capitato prima, questo è sicuro. Vedere due giornalisti inglesi intenti a interrogarsi in diretta tv sulla pronuncia e il significato della romanissima parola “daje” è qualcosa a cui non ci era ancora capitato di assistere. Potenza del calcio. E di José Mourinho (qui la gallery fotografica sul nostro giornale). Un siparietto certamente gustoso per il pubblico non solo italiano, che simboleggia nel modo più semplice ed efficace possibile la profondità dell’operazione decisa e realizzata in gran segreto dalla Roma americana di Dan e Ryan Friedkin.
Indipendentemente dai risultati che potranno eventualmente arrivare sul rettangolo verde, l’ingaggio dello Special One ha già dimostrato di produrre effetti che vanno oltre il campo di pallone. Di sicuro, intanto, sull’appeal internazionale del calcio italiano le cui prestazioni in termini sportivi e industriali sono ormai in calo da oltre un decennio. Da quando, appunto, Mourinho riuscì nell’impresa del Triplete alla guida dell’Inter nel 2010. Champions League, Coppa Italia e Serie A, con tanto di sorpasso all’ultima curva del campionato ai danni proprio della Roma. E che l’impatto sia pure di carattere economico – oltreché chiaramente di immagine – lo testimonia il rally in borsa del titolo della squadra giallorossa che negli ultimi due giorni ha macinato performance da record.
Un’operazione però, lo dicevamo, che ha forse il suo effetto principale nel “daje” elevato a espressione e motto internazionale. Uno dei simboli linguistici di Roma – di tutta Roma, non solo della metà romanista – trasformato in una parola da tradurre, analizzare e commentare nel corso di un programma televisivo del Regno Unito. La perfetta metafora della dimensione globale che la città eterna ricopre da sempre e che oggi punta a riconquistare dopo oltre un decennio avaro di soddisfazioni tra scandali, problemi economici, disservizi e chi più ne ha più ne metta. A maggior ragione in questa fase politica di campagna elettorale in vista del voto per il rinnovo del Campidoglio per il quale i romani saranno chiamati a esprimersi il prossimo ottobre.
Non è un caso d’altronde che nelle ultime 24 ore tutti i principali attori politici e istituzionali della città, a prescindere dalla loro fede calcistica, abbiano commentato con entusiasmo lo sbarco a Roma di Mourinho. Da Nicola Zingaretti a Virginia Raggi, passando per Carlo Calenda che ha rilanciato il tema dello stadio della squadra giallorossa. A ulteriore conferma che l’ingaggio dell’ex allenatore di Porto, Chelsea e Real Madrid non è semplicemente, sempreché si possa usare un avverbio del genere quando si parla di calcio, una questione di pallone. In realtà, al contrario, rappresenta molto di più visto che incrocia almeno un paio di aspetti sui quali la capitale d’Italia ha urgente bisogno di battere un colpo.
Innanzitutto per ciò che riguarda l’attrattività internazionale – c’è chi propone in tal senso di creare a Roma un’apposita agenzia -, tanto dal punto di vista dei capitali quanto sotto il profilo dei talenti. E cos’altro è Mourinho se non anche uno straordinario talento? Certo, sicuramente un po’ stagionato e secondo i critici, risultati alla mano, forse anche un po’ arrugginito, ma pur sempre un fenomeno della sua professione, le cui vittorie – due su tutte, il Triplete con l’Inter e la Champions League con il Porto – lo hanno consegnato alla storia del calcio.
Un manager con la m maiuscola insomma – in inglese peraltro è questa la parola che viene usata quando si parla degli allenatori di pallone -, il cui arrivo nella capitale non può non indurci a riflettere su un’altra priorità conclamata della città di Roma: la qualità, per la verità certo non eccelsa, della classe dirigente capitolina – a livello istituzionale, politico ed economico – e la contestuale necessità di una svolta manageriale nell’amministrazione della città. Così come stanno suggerendo in molti tra esperti, professori e osservatori, negli ultimi mesi (è il caso ad esempio di Francesco Delzio – qui una sua conversazione con Formiche.net – autore del saggio “Liberare Roma” scritto per Rubbettino).
Il futuro di Roma è ancora tutto da scrivere, come pure la storia di questa seconda avventura italiana dello Special One. Che ha deciso di ripartire dalla città eterna (e ne siamo molto contenti).