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A Rimini, con il Quirinale sullo sfondo. I partiti irrompono al Meeting

Meeting

Che cosa si è detto nel corso del dibattito dal titolo “Il ruolo dei partiti nella democrazia oggi. Incontro con i protagonisti della politica italiana” al quale hanno partecipato Giuseppe Conte, Maurizio Lupi, Giorgia Meloni, Ettore Rosato, Matteo Salvini e Antonio Tajani. I temi principali, le affinità, le polemiche

Solo un riferimento esplicito, ma già sufficiente per tracciare una possibile rotta. Anche perché le reazioni degli altri relatori sono state all’insegna del più assoluto silenzio e, come si sa, chi tace acconsente.

Al Meeting di Rimini – dove oggi è andato in scena il grande giorno dei partiti e dei relativi leader – è stato Enrico Letta a disegnare i possibili scenari in vista di quello che a tutti gli effetti può essere considerato il momento politico più importante di questi anni. Ovvero, l’elezione del Presidente della Repubblica in programma a gennaio 2022. Che poi non è neppure detto che il prossimo Capo dello Stato sia nuovo considerato che l’ipotesi di un bis di Sergio Mattarella – per la verità sempre smentita con nettezza dal diretto interessato – sembra essere per distacco la preferita dalle forze politiche.

“Mi impegno a chiedere a Mario Draghi di essere il nostro primo ministro almeno fino alla scadenza naturale della legislatura nell’aprile del 2023″, ha scandito convinto il segretario del Partito democratico. Affermazione che gli altri esponenti politici presenti al dibattito – sul palco c’erano anche Giuseppe Conte, Maurizio Lupi, Ettore Rosato, Matteo Salvini e Antonio Tajani, mentre Giorgia Meloni era collegata in streaming – hanno lasciato cadere nel vuoto.

Nessuno l’ha ribadita o sottolineata, ma neppure contestata. Semplicemente ignorata. O, meglio, accolta senza commentare. Il che già costituisce di per sé un segnale da non sottovalutare, anche perché nel corso della discussione, seppur con lo spirito costruttivo che anima come da tradizione i confronti che si tengono al Meeting, non sono mancate le prese di distanza reciproche, di fatto soprattutto limitate alle politiche del Movimento 5 Stelle e alle parole di Conte.

Ad esempio quando l’ex presidente del Consiglio ha ribadito la sua posizione sull’Afghanistan. “Rivendicare il dialogo con i talebani non significa offrire legittimazione politica al nuovo emirato islamico né predisporsi al riconoscimento internazionale di un regime che non offre il riconoscimento dei più elementari diritti”, ha rilanciato il presidente dei 5 Stelle, al quale ha risposto però senza mezzi termini Salvini: “Io il dialogo con i terroristi islamici non lo concepisco per principio e non li legittimo”.

Dinamica simile sul reddito di cittadinanza con il leader leghista ancora nei panni del guastatore: “Faccio mea culpa. Tornando indietro non lo rivoterei: sta creando solo lavoro nero e disoccupazione”. Parole sostenute pure da Meloni e Tajani, che riaprono una polemica mai del tutto chiusa all’interno della compagine governativa, nonostante prima delle vacanze lo stesso Draghi avesse tentato di stoppare ogni scontro in proposito. “Il concetto alla base del reddito di cittadinanza lo condivido in pieno“, aveva dichiarato il premier a inizio agosto, come ha ricordato anche il suo predecessore nel tentativo di sottrarsi dall’assalto delle altre forze politiche. “La nostra posizione è la stessa di Draghi”, ha affermato con forza Conte.

Non senza qualche mugugno da parte della platea, che invece si è scaldata quando Meloni ha invocato i partiti pesanti, il radicamento territoriale, la politica in presenza. Un feeling in piena regola quello tra la leader di Fratelli d’Italia e il popolo di Rimini, confermato pure dal tenore degli interventi di Lupi che da queste parti definire di casa è riduttivo: “Ringrazio Meloni, anche dell’opposizione, perché senza la democrazia sembra essere monca”.

E in fondo anche le parole del presidente della Fondazione dei Popoli Giorgio Vittadini, pronunciate in chiusura di evento, vanno in questa direzione: “Questo dibattito ha anche rilanciato il ruolo dei partiti, contrapposti ad una persona sola al comando e alla rincorsa dei sondaggi e dei blog. I partiti devono però ripartire dal basso, dalla sussidiarietà. I politici devono girare fra la gente, ascoltare le persone, i corpi intermedi, le associazioni, i sindacati, le imprese: insomma il ricco mondo della società civile”.

Un appello che inevitabilmente costituisce anche un’ambiziosa ricetta politica, per chi vorrà provare a metterla in pratica.

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