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Chip e batterie, il ruolo della Corea nel de-risking da Pechino

Gli ultimi dati e le iniziative dei grandi conglomerati industriali coreani confermano l’importanza della Corea, partner e alleato commerciale di Stati Uniti ed Unione Europea, nel mitigare i rischi della dipendenza dalla Cina. Ma serve un approccio alla supply chain

La Corea del Sud rappresenta il principale alleato per gli sforzi di de-risking dell’Occidente, inclusi gli investimenti esteri diretti, nei settori high-tech e strategici come batterie e semiconduttori. A dimostrarlo sono alcune iniziative e i dati sui flussi commerciali che riguardano due tra le principali industrie che trainano l’economia coreana, secondo i dati riportati dal Ministero del Commercio, l’Industria e dell’Energia (Motie) coreano.

Le esportazioni a febbraio di quest’anno sono cresciute del 4.8% rispetto allo stesso mese nel 2023, in particolare l’export di semiconduttori che hanno registrato il tasso di crescita più alto degli ultimi sei anni (+66% circa) totalizzando $9.9 miliardi. La Corea del Sud è attualmente il principale produttore di chip di memoria a livello globale, grazie ad aziende come Samsung Electronics e SK Hynix.

Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 19,3% su base annua, raggiungendo 11,1 miliardi di dollari a dicembre, quasi il doppio rispetto al 10,7% del mese precedente. Le vendite all’estero di chip di memoria sono salite del 57,5% a 7 miliardi di dollari il mese scorso, grazie all’aumento dei prezzi per tre mesi consecutivi. Le vendite di prodotti tecnologici negli Stati Uniti sono cresciute del 2,5% a 2,6 miliardi di dollari grazie alle forti esportazioni di chip, smartphone e batterie. Le spedizioni verso l’Ue e il Giappone, invece, sono diminuite rispettivamente dell’8% e del 2,7%.

Seppur la Cina rappresenti ancora il principale paese di destinazione dell’export coreano (con una decrescita del 2.4% rispetto all’anno scorso) e una bilancia commerciale finalmente in surplus di $240 milioni dal settembre 2022, le dinamiche geopolitiche mettono Seoul dinanzi a notevoli opportunità per supportare ed espandere la penetrazione dei grandi gruppi industriali sui mercati esteri. In particolare, il passaggio dell’Inflation Reduction Act (IRA) e del CHIPS Act negli Stati Uniti hanno rafforzato la cooperazione e gli investimenti dei gruppi come Samsung, LG Energy Solution, LG Chem (che ha firmato un accordo pluriennale con General Motors per la fornitura di materiali catodici).

Nel caso dei semiconduttori, a livello operativo siamo entrati nella fase di erogazione degli incentivi federali previsti dalla misura legislativa americana: la settimana scorsa è stato il momento di GlobalFoundries, terzo produttore di chip al mondo. E’ tuttavia probabile che i prossimi a vedersi approvare i finanziamenti saranno proprio i due colossi coreani. In un meeting tenutosi lo scorso 26 febbraio presso la Camera di Commercio e dell’Industria di Seul, il presidente della divisione chip di Samsung, Kyung Kye-hyun e l’omologo di SK Hynix, Kwak No-jung, hanno incontrato il vice presidente della Semiconductor Industry Association (SIA), lobby che rappresenta il settore negli USA. Enfatizzando il ruolo chiave del governo statunitense, è stata discussa la possibilità che il Dipartimento del Commercio americano possa prevedere ulteriori fondi a supporto delle aziende – non solo coreane, come Tsmc e la stessa Intel – che intendono investire in capacità produttive sul suolo americano.

Intanto, di fronte all’esplosione della domanda di chip per applicazioni legate all’intelligenza artificiale e l’interesse degli investitori è possibile che si creeranno margini di manovra soprattutto per le aziende che si contengono la leadership tecnologica. Samsung è infatti la principale indiziata a rivaleggiare con TSMC, mentre Intel ha annunciato una strategia ancor più aggressiva per recuperare terreno sui nodi più avanzati. Proprio per la posizione geopolitica incerta del gigante taiwanese, secondo alcune fonti Mark Zuckerberg avrebbe iniziato a dialogare con Samsung per ridurre la dipendenza da Taiwan. L’azienda, Meta, interessata ad espandere il suo business nell’IA e nella realtà aumentata, necessiterà di chip avanzati nei prossimi in un contesto di mercato che vede al momento solo tre aziende capaci di operare in quel segmento specifico di semiconduttori. Dopo oltre un decennio, Zuckerberg avrebbe fatto visita nel paese asiatico incontrando il Presidente Yoon Suk Yeol, enfatizzando il ruolo fondamentale di Samsung nel mercato foundry. Il CEO di Meta si sarebbe infatti riferito all’attuale fornitore, TSMC, descrivendolo in una situazione “volubile” senza citare direttamente le questioni di sicurezza che attanagliano l’azienda nel triangolo con Pechino e Washington. Nel 2022 Samsung ha contato per il 16% del fatturato globale del segmento foundry, il 21% insieme a SK Hynix mentre contava per il 3% della capacità di produzione di wafer.

Il Presidente Yeol avrebbe inoltre rimarcato il ruolo del governo coreano nel supportare le sue industrie strategiche, come batterie e chip, mandando un segnale a Zuckerberg (che ha incontrato anche il presidente di Samsung Electronics, Lee Jae-yong) sulla necessità di confronto con Seul. Il governo infatti ha rivelato una politica industriale per supportare il ruolo della Corea nella supply chain dei semiconduttori, con oltre $430 miliardi di investimenti: tra gli obiettivi, vi sarebbe anche il tentativo di creare un campione nazionale che possa rivaleggiare con l’americana Nvidia che, insieme ad AMD, attualmente è la più quotata sul mercato per lo sviluppo di chip per l’IA.

Come detto, la geopolitica ha giocato e giocherà un ruolo sempre più rilevante nella geografia del commercio sudcoreano. Nel mezzo della guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina a causa del ruolo critico che svolge nelle catene di fornitura di semiconduttori e batterie per veicoli elettrici (EV), la Corea ha sin da subito dovuto giostrarsi in un reticolo complesso per bilanciare gli interessi commerciali e la politica estera, soprattutto nei confronti con gli Usa. Le aziende sudcoreane di semiconduttori hanno investito massicciamente in impianti produttivi in Cina, dunque esposte a maggiori rischi derivanti dai controlli sulle esportazioni imposti dal Dipartimento del Commercio statunitense tra cui la possibile perdita di fatturato: tuttavia, nel corso del 2023 gli impianti di Samsung e SK Hynix sono stati convalidati.

L’approvazione dell’Inflation Reduction Act (IRA) nell’agosto 2022 ha invece rappresentato un ulteriore punto di attrito, ma soprattutto in ottica transatlantica. Concepita per stimolare gli investimenti nella produzione di batterie per veicoli elettrici negli USA e per spostare le catene di approvvigionamento di minerali e materiali critici dalla Cina, la legge contiene clausole che attualmente favoriscono le aziende sudcoreane, spingendole a investire di più negli Stati Uniti che nell’Unione Europea o in qualsiasi altro Paese. Gli adeguamenti normativi relative al leasing di veicoli elettrici commerciali hanno aiutato le vendite di colossi dell’auto come Hyundai e Kia, con una crescita di oltre il 60%. Le vendite combinate delle due aziende sono state inferiori solo a quelle di Tesla nel mercato statunitense nel 2023.

Ciò nonostante, anche l’UE è diventata un mercato di riferimento per le industrie delle batterie coreane. Favorite da un contesto normativo meno complicato e scevro dalle clausole anti-Cina dell’IRA (nonostante comunque un divario di sussidi e incentivi evidente rispetto a quelli stanziati dall’European Critical Raw Materials Act e dal Net Zero Industry Act), le aziende coreane hanno, numeri alla mano, rappresentano gran parte dei gigawattora (GWh) installati in veicoli elettrici nel mercato unico: sono infatti risultate tra le prime cinque aziende che, insieme, hanno detenuto oltre il 92% del mercato della regione nel 2023, con un calo solo marginale rispetto all’anno precedente.

Secondo le stime di Adamas Intelligence, i fornitori di celle per batterie al litio sudcoreani hanno conquistato ben il 68% del mercato UE, che ha registrato il livello record (152,2 GWh) di batterie dispiegate in tutti gli EV immessi nel parco auto circolante, con un aumento del 32% rispetto al 2022. In confronto, le capacità installate distribuite all’estero hanno visto una crescita del 40% nel’Asia-Pacifico (principalmente in Cina) e del 49% nelle Americhe, un trend che riflette lo stato di salute dell’industria nonostante il raffreddamento del mercato di riferimento, quello cinese. LG Energy Solution, che ha contato per circa il 14% dello share di mercato dietro alle cinesi Catl e Byd, ha guidato con un ampio margine in Europa, con 74,9 GWh distribuiti sulle strade europee nel 2023, un aumento del 26% rispetto al 2022 (raggiungendo una quota di mercato del 48%, davanti alla stessa Catl che ha chiuso con 32,6 GWh). Alla terza posizione, Samsung SDI che ha distribuito batterie ai suoi clienti europei (tra le più popolari, le Bmw i4 e iX) per 19,5 GWh seguita da SK On con 12,5 GWh con un modesto aumento del 13% rispetto al 2022.

Dunque, si può affermare che la leadership di Catl – indiscussa in Cina, con circa il 43% del mercato domestico – sia del tutto più in questione all’estero, per ragioni di mercato in Europa con la forte concorrenza coreana e di sicurezza nazionale negli Stati Uniti, essendo ormai finita ormai al centro dell’attenzione dell’amministrazione. Rimane tuttavia ancora evidente la forte integrazione delle industrie coreane delle batterie – a differenza di quelle dei chip, che hanno in Cina più un mercato di riferimento end-use – dal punto di vista delle forniture di materiali catodici, anodici e minerali come litio, cobalto e nichel seppur abbiano iniziato a sfidare proprio le concorrenti cinesi su tecnologie come il litio ferro fosfato (Lfp), molto popolare in Cina, per ridurre i costi di manifattura e così contribuire alla crescite dell’industria EV in Europa e negli Stati Uniti.

In un’ottica di aggiramento delle politiche protezionistiche degli Usa e, possibilmente, dell’Ue per fronteggiare l’invasione di EV cinese a basso prezzo, Pechino sta già ricorrendo ai riparti sfruttando proprio le vene scoperte lungo le filiere industriali occidentali: secondo Rhodium Group, l’anno scorso i nuovi investimenti diretti esteri EV dalla Cina hanno raggiunto i $28,2 miliardi e sono stati trainati soprattutto da investimenti greenfield (ovvero nuove capacità produttive, dalla raffinazione alle celle). O, come ha riferito un’importante agenzia governativa cinese, “sempre più aziende automobilistiche cinesi non si fermano ai ‘prodotti che vanno all’estero’, ma si muovono verso la ‘produzione che va all’estero’”. In breve, il governo cinese sta sostenendo con forza non solo l’esportazione di automobili (o la produzione di chip maturi), ma anche quella che il vicepresidente del più importante think tank cinese sugli EV chiama “[ri]produzione dell’intera catena industriale”.


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