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Perché serve la restituzione delle accise illegittime sull’energia elettrica

Di Maria Spena
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Secondo le stime del Centro Studi di Confindustria, i costi energetici a carico delle imprese passeranno dagli 8 miliardi spesi nel 2019 ai 37 del 2022. La proposta di Maria Spena, deputata di Forza Italia e vicepresidente della commissione Agricoltura

La crisi ucraina ha provocato in Italia un’impennata dei costi energetici per le imprese: secondo le stime del Centro Studi di Confindustria, dagli 8 miliardi spesi nel 2019 si passerà a spenderne 37 nel 2022.

In un simile scenario è facile immaginarsi una contrazione della produzione industriale destinata anche ad aggravarsi nei prossimi mesi: a oggi otto aziende su dieci hanno già denunciato difficoltà negli approvvigionamenti e un quarto delle aziende ha rilevato di aver ridotto sensibilmente la produzione. Interventi correttivi da parte del governo ci sono stati con il Dl Bollette di fine marzo e il più recente Dl Aiuti.

In questa situazione, con l’esecutivo impegnato a varare misure per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas, fa un certo effetto pensare che ci sono ben 3,4 miliardi di accise energetiche illegittimamente versate nel biennio 2010-2011 che aspettano di essere restituite. Questa tassa non dovuta era stata istituita nel 1988 dal governo De Mita, abrogata dall’esecutivo Monti nel 2012 e dichiarata illegittima dalla Cassazione nel 2019. Si chiamava addizionale provinciale e andava a pesare su migliaia di imprese “per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze, fino al limite massimo di 200.000 kWh di consumo al mese”.

Le imprese che vogliono ottenere la restituzione di quanto ingiustamente pagato, però, si trovano di fronte a una strada non semplice: possono fare causa alle società fornitrici di energia elettrica che a loro volta potranno rifarsi nei confronti dell’amministrazione finanziaria, destinataria degli importi. I procedimenti ordinari, però, durano almeno un anno e mezzo e a incombere c’è anche la mannaia della prescrizione decennale.

I tempi lunghi e la poca conoscenza della vicenda ha fatto sì che tante imprese, specialmente quelle più piccole, non siano consapevoli della possibilità di vedersi restituita quella tassa non dovuta per il biennio 2010-2011. Di recente una “breccia” è stata aperta dal gruppo Leonardo che ha deciso di muoversi legalmente per il rimborso ma tramite la via del procedimento monitorio, anziché di quello ordinario per arrivare alla restituzione prima della sentenza definitiva.

Al di là di questo singolo aspetto che riguarda l’ambito della giustizia, in un momento di grande difficoltà per le imprese dovuto proprio al caro energia, si pone un tema anche – così potremmo definirlo – “morale” da parte dello Stato: i 3,4 miliardi di euro di accise energetiche, infatti, sono finiti nelle casse statali, pagati dalle imprese che non avrebbero dovuto versarli.

Sono le stesse imprese che attualmente stanno scontando gli effetti devastanti del caro energia e che sono scoraggiate dalle lungaggini del sistema giudiziario a cui devono rivolgersi per farsi rifondare dalle aziende elettriche, con la prospettiva che quest’ultime siano poi a loro volta rimborsate dal fisco. L’urgenza del dossier energia elettrica dovrebbe suggerire un’iniziativa normativa ad hoc da parte del governo per trovare una via più breve alla legittima restituzione di una tassa indebitamente pretesa.

A questo scopo, ho presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Economia, Daniele Franco, per chiedere di valutare l’adozione di un provvedimento in questo senso che non solo contribuirebbe a dare un po’ di ossigeno a tante aziende in difficoltà proprio per il caro bollette, ma che equivarrebbe anche a un atto di giustizia.

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