Si è tenuto a Londra il primo incontro dell’alleanza multilaterale sulle materie prime critiche. In rampa di lancio 15 progetti per diversificare le catene di approvvigionamento dalla Cina. Focus su terre rare e “battery metals”. Iniziative pubblico-private lungo la filiera su quattro continenti
È entrata nel vivo l’iniziativa che raccoglie alcune tra le principali potenze industriali del pianeta e che guarda all’approvvigionamento di materie prime critiche (CRMs) come una questione strategica e di sicurezza industriale. Si tratta della Minerals security partnership (Msp), alleanza multilaterale lanciata dagli Stati Uniti nel 2022 con l’obiettivo di diversificare le supply chain per i materiali essenziali per la decarbonizzazione e la digitalizzazione.
I membri della partnership, tra cui l’Unione europea, Canada, Australia, Francia, Germania, Svezia, Finlandia, Giappone, India e Corea del Sud, oltre all’Italia che ha annunciato un mese fa l’ingresso nell’importante iniziativa, si sono riuniti a Londra durante la London Metal Exchange (Lme) Week Industry. L’occasione è stata fertile per facilitare la collaborazione tra i rappresentanti istituzionali dei Paesi coinvolti e delle imprese private che guardano all’hub londinese come un centro gravitazionale per il mercato dei metalli. Tra le istituzioni presenti, anche la US Export-Import Bank (Exim), banca americana che si occupa di finanziamenti e investimenti infrastrutturali, e non solo, nei mercati esteri.
Jose Fernandez, sottosegretario di Stato del Dipartimento di Stato americano per la crescita economica, l’energia e l’ambiente, ha rivelato durante un briefing a Londra che la Msp ha preso in carico 15 progetti, estesi su cinque continenti, che comprendono vari segmenti della catena di approvvigionamento dei minerali, dall’estrazione alla lavorazione. Fernandez ha espresso l’intenzione di finalizzare diversi accordi nei prossimi mesi, evitando di rivelare tutti i nomi delle aziende coinvolte per la sensibilità dell’iniziativa, ma è plausibile ritenere che si tratti di progetti su litio, terre rare, grafite.
Si tratta, infatti, di materie prime in cui attualmente la produzione nei paesi coinvolti è inesistente o limitata, sia sul lato minerario che su quello della raffinazione. La Cina, infatti, controlla gran parte della supply chain del litio per le batterie elettriche, con investimenti e partecipazioni in progetti all’estero, oltre a dominare l’industria delle terre rare (su cui gode di una posizione sostanzialmente monopolistica) e delle grafite.
Uno degli aspetti più cruciali nella diversificazione degli approvvigionamenti è la carenza di investimenti, in Europa soprattutto, e di fondi canalizzati in progetti nei Paesi ricchi di risorse, dall’Africa all’America Latina e in Indonesia, Paese ricco di nichel (metallo essenziale per le batterie) e per questo entrato nell’orbita di cooperazione sempre più stretta con le industrie cinesi per lo sviluppo delle riserve domestiche. Ed è proprio stimolando il flusso di investimenti, in un’ottica di responsabilità etica e di sostenibilità (i cosiddetti investimenti Esg) come pilastro dell’iniziativa, in progetti strategici che la Msp vuole contribuire a migliorare l’attuale geografia della produzione e raffinazione dei materiali critici.
“Entro il 2040 il mondo necessiterà di quattro volte il volume di minerali critici che consuma oggi” ha commentato a margine dell’incontro Nusrat Ghani, ministro per l’Industria e la Sicurezza Economica del Regno Unito. “Assistiamo ad una corsa globale per assicurarsi queste materie prime”.
Come si legge dai comunicati stampa diffusi rispettivamente dal Dipartimento di Stato americano e dal Dipartimento del Commercio e del Business britannico, il primo incontro ha riunito rappresentanti dei Paesi G7 e di nazioni che custodiscono importanti riserve di materie prime, come la già menzionata Indonesia, il Sud Africa (in cui si estrae la maggior parte dei minerali del gruppo del platino, utilizzati per esempio nella produzione di idrogeno) lo Zambia e paesi dell’Asia Centrale come il Kazakistan e la Mongolia, che ha attirato l’interesse delle grandi multinazionali minerarie come Rio Tinto.
Durante l’incontro, i partner hanno confermato lo stato di avanzamento di una serie di progetti lungo la filiera dei materiali critici, che hanno dimostrato enormi potenziali per la fornitura in linea con i principi di sostenibilità, l’impatto sull’incontro della domanda in un’ottica di transizione energetica e soprattutto per il supporto di agenzie governative o finanziarie. Si tratta di undici progetti focalizzati sull’estrazione (upstream), quattro progetti sulla raffinazione (midstream) e due progetti su riciclo e recupero delle materie prime. Dal punto di vista dei materiali target, un progetto riguarda l’estrazione di litio, tre sulla grafite, due sul nichel, due rispettivamente su cobalto e manganese, due sul rame e ben sette sulle “terre rare”.
Si tratta di materie prime classificate, sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Europea, come “critiche” per il fabbisogno nazionale e continentale, specialmente per la produzione di batterie agli ioni di litio e i magneti permanenti, componenti esssenziali dei veicoli elettrici (EV) e delle turbine eoliche offshore.
Tra i progetti menzionati, vi è quello di Chvaletice Manganese, localizzato in Repubblica Ceca e finanziato dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e l’European Institute for Innovation and Technology (Eit) InnoEnergy. L’azienda, Euro Manganese, produrra metalli di manganese elettrolitici per la produzione di materiali catodici per le batterie tra gli impianti situati in Europa e Canada. Si tratta di un segmento cruciale, e attualmente dominato da aziende cinesi, coreane e giapponesi. Queensland Pacific Metals, e l’impianto di processazione di nichel nell’Australia settentrionale, ha ricevuto circa 900 milioni di dollari di finanziamento a debito da agenzie australiane, canadese e tedesche: si tratta di un’azienda che ha già strappato accordi con General Motors e le coreane LG Energy Solution e POSCO per la fornitura di materiali catodici.
La Corea del Sud rimane un paese chiave per capacità produttiva e know-how tecnologico sulle batterie, se l’obiettivo è ridurre la dipendenza lungo la filiera dalla Cina seppur l’integrazione con le industrie cinesi si possa rivelare un punto debole nella strategia di friend-shoring stimolata, soprattutto, dall’Inflation Reduction Act (IRA). Di recente, LG Chem (sussidiaria del gruppo LG) ha annunciato investimenti e progetti per la produzione di materiali catodici in Marocco, avvicinando dunque la filiera all’industria europea.
Infine, nelle fasi di esplorazione mineraria, attraverso la US International Development Finance Corporation il governo americano ha assicurato un prestito da 150 milioni di dollari ad un progetto minerario in Mozambico, Twigg Eploration and Mining Lda, per la futura estrazione di grafite. Twigg è una sussidiaria di Syrah Resources, il più grande produttore di grafite al di fuori della Cina. Un’iniziative che si inserisce nel solco di un maggiore attivismo statunitense in Africa: lo scorso dicembre il Segretario di Stato Antony Blinken aveva firmato un memorandum of understanding, con Congo e Zambia (principali produttori mondiali di cobalto e rame) per cercare spazi di collaborazione per sviluppare congiuntamente una filiera delle batterie. Un’azione più concreta l’ha presa il Giappone, con il coinvolgimento del Jogmec.
Molto interessante risulta essere anche la tecnologia commercializzata dall’azienda britannica HyProMag, specializzata nel riciclo di magneti di terre rare da prodotti a fine vita come motori elettrici, dispositivi elettronici etc. Con l’appoggio scientifico dell’Università di Birmingham, si tratta di una delle possibili strade per ridurre e mitigare la dipendenza da Pechino: una soluzione certamente votata al medio-lungo periodo tramite innovazione e scalabilità delle soluzioni ‘circolari’, pilastri anche della policy dell’Unione Europea per ridurre la ‘criticità’ delle materie prime e che ha attirato, di recente, l’investimento dell’americana Redwood Materials.
Proprio con i paesi alleati rimangono ancora in ballo le trattative commerciali per l’accesso ai fondi federali stanziati con l’IRA (per ora accessibili solo da paesi con cui gli Usa hanno in essere un trattato di libero scambio in vigore). All’inizio di quest’anno gli Stati Uniti hanno firmato un accordo sui minerali critici con il Giappone, che consente ai veicoli elettrici che utilizzano materiali raccolti o lavorati nel paese nipponico di beneficiare degli incentivi previsti dalla legge statunitense, e stanno negoziando accordi simili con l’Ue e il Regno Unito. “Attualmente siamo in trattative sia con l’Ue che con il Regno Unito e queste conversazioni sono intense e in corso”, ha dichiarato Fernandez.
Rimane inoltre fondamentale garantire che le piazze di trading mondiali delle materie prime, tra cui proprio la London Metal Exchange che ha ospitato l’incontro della Msp, forniscano informazioni trasparenti e affidabili sui prezzi, soprattutto per un mercato come quello dei minerali critici che rimane ancora limitato sui volumi rispetto a quelli più consolidati come rame o alluminio. Come si legge infatti nella Critical Minerals Refresh del Regno Unito, “catene di approvvigionamento globali resilienti … si basano su mercati globali e su un sistema di scambio trasparente”.