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Dario Fo tra teatro e famiglia. Le foto dall’archivio Pizzi

Dario Fo
Dario Fo, Franca Rame e il figlio Jacopo
Dario Fo
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Dario Fo
Dario Fo Franca Rame
Dario Fo Franca Rame
Marta Marzotto Dario Fo
Franca Rame, Marta Marzotto, Dario Fo
Dario Fo
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Dario Fo, Franca Rame e il figlio Jacopo
Dario Fo
Dario Fo
Dario Fo
Dario Fo Franca Rame
Dario Fo Franca Rame
Marta Marzotto Dario Fo
Franca Rame, Marta Marzotto, Dario Fo
Dario Fo

“In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po’ le teste. Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa”.

Si spegneva 5 anni fa Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura nel 1997 con la motivazione: “Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Autore, regista, attore, uomo di teatro, era sposato con Franca Rame, attrice, drammaturga e figura politica che, come ricordava Aldo Giannuli su Formiche.net all’indomani della morte di Fo, era “la testa politica” della coppia. Era “un’ortodossa proveniente da una famiglia di teatranti, socialisti da tre generazioni e comunisti da due. Dario, invece, era l’artista. L’ho sempre considerata una sorta di divisione sociale del lavoro nella coppia”, spiegava Giannuli.

E proprio seguendo la moglie, Dario Fo si iscrisse al Pci, anche se “in lui ha sempre soffiato un certo vento d’anarchia”. Un vento che lo porta a rompere con il partito a causa di una serie di uscite pubbliche e di spettacoli teatrali: “Ad esempio il suo celebre Mistero Buffo non è che fu molto gradito dal Pci che in quel momento era impegnato in un difficile dialogo con i cattolici“.

Qualche decennio dopo si trasformerà da comunista convinto a grande sostenitore del MoVimento 5 Stelle. Perché? “Dario ha sempre avuto una grande sensibilità per le rivolte popolari. E’ un tratto che lo accomuna a un certo pensiero anarchico e, per altre versi, anche a quella tradizione letteraria italiana in cui l’eroe collettivo è il popolo“. Un filone di cui facevano parte anche Pier Paolo Pasolini e Vasco Pratolini: “Una teoria che non va molto d’accordo con il marxismo, nel quale non c’è il popolo ma la classe“. Non è un caso – nota Giannuli – che Alberto Asor Rosa in uno dei suoi primi libri, Scrittori e popolo, l’abbia fortemente criticata definendola populista: “L’interlocutore privilegiato di Dario è sempre stato il popolo e, infatti, ha sempre guardato con simpatia ai movimenti“. Da queste convinzioni al M5S il passo è stato in fondo abbastanza breve: “Era naturale che uno come lui – che ha sempre pensato alla rivolta popolare come momento catartico di rifondazione del Paese – simpatizzasse con i pentastellati” (leggi qui l’intervista completa di Andrea Picardi).

(c) Umberto Pizzi – Riproduzione riservata

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