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Lo diciamo con quella benevolenza che ci accompagna quando la consapevolezza della lucida verità ci appare sempre più evidente. In Banca d’Italia bolle qualcosa che i mass media continuano a nascondere (con le banche italiane che siedono nella proprietà che ne sono soddisfatte) perché diversamente gli eurini non girano. È sempre più accreditata nei palazzi del potere e della politica l’idea nefasta di voler fare della Banca Centrale una public company e venderla alle banche di altri Paesi, mentre la potente Bundesbank tedesca si mette di traverso alla sua rivalutazione, quindi delle quote nel portafoglio delle banche italiane (e in parte poiché non tutte hanno aderito).

E se la prova di forza non si allenta, dovremo trovare un altro modo per difendere le nostre banche nostrane dall’attacco per scarsa consistenza patrimoniale e poiché è legittimo pensare che probabilmente non ce la facciamo, sarà una stangata furibonda per i depositanti .E sarà inevitabile cercare di portare i nostri soldi nelle banche tedesche. Peraltro abbiamo ben visto che il Governo della Cancelliera Angela sa ben difendere nel silenzio assoluto la loro difficoltà poiché su queste pagine circa un mese fa denunciammo come le banche tedesche possedevano titoli intossicati e devastantemente speculativi.Ma il tutto era avvenuto nel segreto più assoluto e solo noi italiani eravamo messi alla gogna per la nostra debolezza economica.

Weidmann, governatore della Bundesbank, ha rilasciato una intervista molto molto interessante ignorata dalla politica codarda, ma sulla quale il Governo Letta si deve necessariamente misurare. Il governatore tedesco infatti ha dato chiaramente la linea: acquistare o meno titoli dei debiti sovrani è decisione politica, che spetta ai governi e ai parlamenti d’Europa; è chiaro che l’acquisto di quei titoli, a breve, da parte della Bce (programma Omt), fa scendere gli spread, ma serve solo a comprare tempo, non a risolvere il problema; tutti abbiamo bisogno di riforme, per l’Italia conta molto cambiare la pubblica amministrazione, giustizia compresa.

Noi condividiamo totalmente ma siamo troppo lenti a procedere e se la Bce non fosse intervenuta lo svantaggio italiano, dovuto alla speculazione, ci avrebbe ucciso. Per questo è un bene che Bundesbank sia stata messa in minoranza. Ciò non toglie che la partita non consiste nel guadagnare (e perdere) tempo. L’operato della Commissione europea, in campo economico, è illegittimo, e bisogna farlo pesare. Noi dobbiamo ricapitalizzare il nostro patrimonio e modificare l’atteggiamento politico verso le banche. Dobbiamo aprire subito il cantiere delle riforme, perché non sono gli altri a doverci fare degli sconti, siamo noi a dovere volere la rimonta. E non c’è tempo da perdere perché aver parlato di ripresa quando non c’è, ha inevitabilmente creato la reazione, rabbiosa, di chi sta pagando ora le conseguenze della crisi .

La piazza ribolle, ed è un errore minimizzare: la gente ha bisogno nello stesso tempo di cruda verità e slancio senza precedenti verso un programma di radicali cambiamenti. E stiamo attenti: parliamo dei sentimenti di rabbia e di sfiducia, diffusi anche tra coloro che in piazza non scendono e non scenderanno mai. Quegli italiani, cioè, e sono la netta maggioranza, che al di là degli effetti reali che la crisi ha prodotto alla loro esistenza, si sono fatti l’idea che tutti i guasti derivino da una classe politica corrotta e da istituzioni inefficaci. Noi non siamo disposti ad accettare l’idea che, con la globalizzazione, i diritti degli emergenti possano mettere in discussione le certezze degli opulenti. Se di fronte a questa incertezza di presente e paura di futuro, la risposta politico-istituzionale è “state tranquilli che adesso passa”, peraltro accompagnata da mancanza di concretezza e assenza di visione prospettica, non ci si può poi lamentare che le piazze si riempiono e mandano segnali di rivolta. Anche se gli scontenti scalmanati si fermassero qui – come ci auguriamo – rimane un malessere sociale di cui la politica deve farsi carico, con cambiamenti radicali e subito.

Solo una stagione di riforme può ripristinare la pace sociale

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