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Custodire la memoria e il patrimonio del Partito popolare italiano, che non possono venire archiviati ma devono essere trasmessi in forma aggiornata alle giovani generazioni. A tale imperativo etico-civile si è ispirato il convegno organizzato ieri all’Istituto Luigi Sturzo dall’associazione “I Popolari” per ricordare il ventesimo anniversario della rinascita del PPI. Promossa grazie all’appello “A quanti hanno (ancora) passione civile” lanciato il 18 gennaio 1994 dall’ultimo segretario della Democrazia cristiana Mino Martinazzoli nell’alveo dello storico richiamo “Ai liberi e ai forti” pubblicato dal sacerdote di Caltagirone nello stesso giorno del 1919.

ECCO I VOLTI DELLA FAMIGLIA POPOLARE RIUNITA ALL’ISTITUTO STURZO

Una ricorrenza che si intreccia con il tramonto della formazione cardine della prima Repubblica, e alimenta passioni e polemiche. Ne è prova la presenza di numerosi esponenti dell’esperienza politica dei cattolici come Bartolo Ciccardini, Michele Pinto, Alessandro Forlani, Giuseppe Gargani, Giampaolo D’Andrea, Giorgio Pasetto, Adalberto Monticone, a fianco di figure rappresentative di filoni differenti come Mario Baldassarri e Stefano Fassina.

Le ragioni del tramonto di un’epoca

È Roberto Mazzotta, già parlamentare DC ed ex presidente della Banca popolare di Milano e di CARIPLO, a spiegare l’obiettivo dell’iniziativa: “Rispondere alla falsificazione e demolizione storico-mediatica della nostra esperienza politica, riflesso di un declino culturale, morale e civile prima che economico-sociale. Frutto di un ventennio guidato da avventurieri”. A partire, accusa l’ex banchiere, da un establishment che è riuscito ad appropriarsi in maniera predatoria di pezzi produttivi dello Stato fatti evaporare con una gestione pessima. E che con i nostri alleati internazionali ha pensato di superare la tradizionale rappresentanza partitica italiana. Vanno ricercate qui le cause della “crisi della prima Repubblica” e della DC: nella definizione di “rinnovati equilibri” rivelatisi fallimentari quando il “giocatore d’azzardo” Silvio Berlusconi ha vinto la partita.

FRANCO MARINI, GERARDO BIANCO E… CHI C’ERA ALL’ISTITUTO STURZO. LE FOTO

La nascita del PPI

A ricostruire la rifondazione del Partito popolare è lo storico Francesco Malgeri: “Il tramonto della Democrazia cristiana, forza interclassista in grado di accogliere e mediare una galassia di aspirazioni e interessi, capace di orientarli verso un programma democratico e riformista, fu provocato dall’inadeguatezza dell’antico assetto partitico alle trasformazioni dell’opinione pubblica”. Martinazzoli rispose rilanciando una “Dc di programma umanistico-cristiano anziché di tessere clientele e notabili: autonomista, europeista, solidale, riflessiva e moderata, alternativa alla Babele qualunquista e nichilista, rozza e trasformista che rendeva la borghesia italiana propensa a nuove avventure”. Nell’Assemblea costituente del 22-24 gennaio 1994 prese forma così il nuovo PPI, che in vista del voto di marzo scelse di sottrarsi alla logica del “bipolarismo coatto” per costituire un polo di centro, nella convinzione illusoria della mancanza di un risultato certo e di un futuro da “ago della bilancia” per i Popolari. Ma il risultato a Montecitorio fu l’11 per cento dei voti e 34 seggi.

L’errore di Martinazzoli

Ricordando la freddezza al limite dell’ostilità manifestata vent’anni fa dalle gerarchie ecclesiastiche, Franco Marini ritiene la creazione del PPI “l’estrema difesa per la DC, all’epoca sotto assedio pur essendo stata artefice del Codice di Camaldoli, della costruzione dell’Italia moderna ed europea, della democrazia industriale”. Martinazzoli era convinto che il partito mantenesse anche nel ’94 il 30 per cento dei suffragi ottenuti due anni prima. Fu per questa ragione che l’ex presidente del Senato, all’indomani del tracollo elettorale, caldeggiò l’ascesa alla segreteria di Rocco Buttiglione.

Il merito storico del PPI

Pierluigi Castagnetti, allora capo della segreteria politica della DC, rievoca il clima di quel 18 gennaio, “una mescolanza di drammaticità e ineluttabilità permeata dal senso della fine di una storia, di una cultura politica divenuta tradizione e che per vivere doveva mutare forma-partito, ricostruendo una presenza politica cristianamente ispirata dopo la fine dell’unità politica dei cattolici”.

Era l’approdo, precisa l’ex parlamentare, di un percorso lungo, intenso, frettoloso, promosso da una persona consapevole di essere stata chiamata alla guida della Dc “per disperazione” e con 4 anni di ritardo. E che propugnava una nuova visione del popolarismo europeo decisiva per l’integrazione economico-monetaria, la centralità della Costituzione, la mediazione e rappresentanza vasta della società, una filosofia economico-sociale antitetica al “mercatismo” incarnato dal Cavaliere, un umanesimo valido argine alla deriva laicista e anti-clericale affermatasi nei paesi europei, il limite della politica e della ricerca scientifica.

Valori, rimarca Castagnetti, un tempo patrimonio esclusivo dei cattolici democratici e oggi condivisi da tutti. Grazie a cui la stessa sinistra post-comunista ha costruito una cultura di governo, riformista e pluralista. Ma che non hanno trovato espressione politica vincente, per una “questione morale” che nella DC divenne scandalo e tradimento e per l’introduzione di un meccanismo di voto maggioritario uninominale che spingeva al conflitto anziché alla convergenza. Fu Paolo Emilio Taviani, tra i fondatori della Democrazia cristiana e medaglia d’oro per la Resistenza, a osservare che l’approvazione del Mattarellum avrebbe comportato la fine della DC.

NON SOLO POPOLARI A RICORDARE IL PPI, MA ANCHE… TUTTE LE FOTO

Perché il PPI non è proponibile

Protagonista di quella stagione, Rosa Russo Iervolino parla di una scelta politica orientata a un nuovo inizio e rigenerazione: “Nella creazione del Partito popolare non vi fu nessuna liquidazione della DC, come scritto erroneamente da Sandro Fontana”. La scelta di porre fine a tale esperienza non fu dovuta a Tangentopoli, “fenomeno che pure concorse alla crisi per lo sdegno che provocava, al contrario di oggi in cui ci siamo abituati a chi ruba per se stesso e non più per il partito”. Fattori decisivi furono i cambiamenti geo-politici in atto all’indomani del crollo del comunismo sovietico. Mutamenti che imponevano un rinnovamento del modo di essere della DC, uscita vincente dalla “Guerra fredda”. L’ex primo cittadino di Napoli è scettica sull’attualità dell’esperimento: “Oggi il PPI non è riproponibile, né può divenire una componente culturale dei partiti. Perché alla secolarizzazione, scristianizzazione, disumanizzazione della società prefigurata con i referendum su divorzio e aborto non si può più contrapporre una forza politica”.

Perché il PPI deve rinascere

Favorevole al rilancio di un’iniziativa politica popolare è Gerardo Bianco, a lungo presidente dei deputati del PPI. Ricordando l’atmosfera “pensosa e fredda, ricca di speranze e turbamento” del 18 gennaio 1994, il latinista esprime sdegno per l’oblio misto a disprezzo, distorsione e irrisione con cui vengono rilette la storia del PPI e della DC”. E i risultati, evidenzia, sono visibili nonostante tutti rivendichino l’attributo di “popolari” non avendone lo stile, la cultura economico-sociale, la visione delle istituzioni: “Lo confermano le proposte, al centro del confronto sulle riforme, di abrogazione del Senato e di legge elettorale leaderistica foriera di un presidenzialismo strisciante”.

È immaginabile oggi un Partito popolare?

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