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Con la geniale espressione “classe generale”, Benedetto Croce non intese riferirsi ad una determinata fase storica – quella della aspirazione ad un’Italia liberata col suffragio universale (peraltro incompiuto) – rappresentata, ai livelli istituzionali, da personalità espresse dalla classe borghese e proprietaria. Fra l’altro, i soggetti ch’egli considerava come espressivi di una “classe generale” il filosofo napoletano non pensava dovessero restare nei confini ristretti della politica parlamentare; né immaginava dovessero essere investiti solo della responsabilità di gestire una fase storica definita, quella al suo tempo in atto.

Ad una “classe generale” Croce riteneva dovesse corrispondere una molteplicità di soggetti: lo studioso partecipe del divenire (e non soltanto del preservare) storico e dunque percettore di movimenti evidenti ma soprattutto di quelli emergenti nella società; le intelligenze espressive di mestieri e professioni liberali sensibili ai perfezionamenti tecnici e scientifici e attenti a non considerare il mercato come qualcosa di estraneo alla società reale; gli educatori capaci di spiegare la storia del mondo e della propria terra con spirito laico sebbene non anticlericale; i notabili dei piccoli come dei grandi centri investiti dal segno delle novità introdotte dalla scienza in vertiginoso crescendo, specie nella medicina risanatrice dei corpi; gli uomini di buonsenso, indipendentemente dalla acculturazione raggiunta e, tuttavia, considerati dai concittadini dei portatori di libertà; nonché gli amanti dell’arte lasciata ai posteri dagli avi e perciò cultori dell’estetica della creatività umana. Da ciò derivava un concetto di libertà da acquisire senza violenza, ma con l’insegnamento anche pratico e, dunque, non escludente il popolo economicamente inferiore.

Va da sé che una tale “classe generale” non potesse scaturire da una casta di ottimati – fossero filosofi o tecnici della gestione delle comunità locali o statuali –, ma da un continuo approfondimento delle ragioni manifestate da ciascun corpo sociale e meritevoli di potersi manifestare in piena libertà; in primo luogo la libertà dal pregiudizio e dai filosofemi ingannatori: come il marxismo e i derivati politici invocanti propagandisticamente palingenesi impossibili. Il lascito di Croce va ben al di là del tempo ch’egli visse e delle forze politiche variabili cui offrì via via il suo nome.

Le questioni poste da Croce sono riproponibili anche nel ventunesimo secolo, e non soltanto in Italia. Dove, peraltro, ci troviamo in una condizione di crisi di pensiero, prima che economica. Mentre i soggetti in campo non possono seriamente pensare che il giovanilismo o la conquista immeritevole e non per via democratica (cioè liberale) del potere istituzionale possano tramutarsi assumendo caratteristiche di una “classe generale” tutta da formare. E perciò non ricavabile da una quotidianità politica sempre meno comprensibile e giustificabile razionalmente.

 

Potremo avere una "classe generale"?

Con la geniale espressione "classe generale", Benedetto Croce non intese riferirsi ad una determinata fase storica – quella della aspirazione ad un’Italia liberata col suffragio universale (peraltro incompiuto) - rappresentata, ai livelli istituzionali, da personalità espresse dalla classe borghese e proprietaria. Fra l’altro, i soggetti ch’egli considerava come espressivi di una "classe generale" il filosofo napoletano non pensava dovessero restare…

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