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Churchill diceva che la democrazia è la peggiore delle forme di governo, fatta eccezione per quelle che l’hanno preceduta. Difficile non essere d’accordo. Soprattutto se ci si pone in una prospettiva di sano realismo, dove al “migliore dei mondi possibili” si preferisce il “migliore dei mondi fattibili”. Tuttavia la scelta a favore della democrazia non deve diventare un alibi o un pretesto per coprire gli aspetti problematici del vivere democratico. Uno di tali aspetti, che specialmente negli ultimi anni ha assunto un ruolo centrale nel dibattito, concerne la questione se e fino a che punto la democrazia nasconda o possa nascondere al suo interno dinamiche di tipo totalitario. A prima vista una domanda del genere rischia di apparire quanto meno oziosa, se non del tutto anacronistica. E buona magari per alimentare le solite dispute accademiche tra addetti ai lavori. Eppure il tema è di straordinaria attualità, né sembra essere destinato ad una fine precoce. Vale la pena allora chiedersi se esistono e quali sono i fenomeni in grado di indicare una deriva potenzialmente totalitaristica della democrazia. Uno dei segnali che forse connota meglio di altri un “clima” culturale di ordine potenzialmente totalitario o tirannico, è il sempre più diffuso senso di paura che pervade la nostra società. Si tratta di un genere di paura muto, strisciante, quasi inavvertibile e inconsapevole, che tuttavia esiste e condiziona atteggiamenti, scelte, modi di sentire e agire. In Italia uno dei primi e più acuti osservatori di questa realtà fu Augusto Del Noce, che in un articolo del 1984, La verità e la paura, così la descriveva: “La realtà presente in ragione dell’abbandono dell’una e medesima coscienza morale, manifesta una pluralità contraddittoria di posizioni morali. Allora effettivamente avviene che il criterio della maggioranza si risolve nel dominio degli eterodiretti; di coloro cioè che sono diretti dall’industria culturale, vera scuola d’ignoranza…E l’individuo anziché sentirsi fine, non può sopravvivere se non facendosi mezzo, con l’adeguarsi cioè ai gusti di questa maggioranza o piuttosto dei gruppi che hanno prevalso. Il suo farsi mezzo è obbedire al bisogno dell’autoconservazione, cioè alla paura”. Il punto è questo: secondo Del Noce l’abbandono della metafisica ha comportato l’affermazione del pluralismo culturale e del relativismo etico, due fattori che possono trasformare la democrazia in tirannide. Una lettura, questa del filosofo torinese, che si situa peraltro sulla stessa lunghezza d’onda di un altro, autorevolissimo interprete dei nostri tempi, Giovanni Paolo II. Assai significativo, per le riflessioni che stiamo svolgendo, un passaggio del suo discorso al Parlamento italiano del 14 novembre 2002: “nella Lettera enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia – afferma il pontefice –  dal “rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità” (n. 101). Infatti, se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l’azione politica, annotavo in un’altra Lettera enciclica, la Centesimus annus, “le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (n. 46). Qualche anno più tardi, gli avrebbe fatto l’allora card. Ratzinger e futuro benedetto XVI, che nell’omelia della Missa pro eligendo romano pontifice, così rappresentava la situazione “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.”

La problematicità del pluralismo e del relativismo etico consiste nel fatto che nel mentre esaltano, a livello teorico, il ruolo del singolo, della sua autonomia e della sua libertà, di fatto lo conducono ad omologarsi all’opinione ed ai comportamenti della maggioranza. Da questo punto di vista la democrazia ed i sistemi totalitari “classici” del ‘900 (nazismo e comunismo) non differiscono poi molto. In comune hanno la causa (l’abbandono e il rifiuto di Dio) e l’effetto (la schiavitù dell’uomo, più o meno manifesta, e il conseguente senso di paura): è solo il metodo che li distingue. Per Del Noce il vizio di fondo della democrazia sta  nell’aver scisso libertà e verità. Nella sua ottica, invece, esiste una verità, un insieme di valori trascendenti ed eterni che “parlano” alla coscienza di ogni uomo e che gli si manifestano come evidenti. In tale prospettiva l’individuo è capace di aprirsi alla e accogliere la verità che gli si manifesta per via intuitiva. Non solo. Ma è proprio la sovrapersonalità del vero a permettere quell’apertura all’essere che rende l’uomo indipendente dagli altri soggetti, quindi libero. Se da un lato la libertà è richiesta per accogliere la verità che si «impone», dall’altro la libertà (in questo caso di natura civile) è il risultato della trascendenza della verità rispetto ad ogni potere temporale e ad ogni sua secolarizzazione. Ecco allora che la democrazia si configura come il luogo politico dove devono essere garantite le condizioni che consentono l’accoglimento e il riconoscimento dei suddetti valori, e in tal senso, cioè come condizioni, sono da considerare i tre pilastri della concezione democratica di Del Noce: il rispetto della persona, il metodo della persuasione e il rifiuto della violenza. Se la pratica di questi principi non rende certo cristiana una democrazia (come d’altra parte riteneva lui stesso), essa tuttavia fornisce tutte le garanzie perché l’individuo possa liberamente aprirsi alla verità e ai valori che da questa discendono. Ed è in tale contesto che si colloca anche il concetto di policentrismo. La verità, ancorché sia una, è tuttavia «centrata» sulla persona. Il senso di questa affermazione si trova nelle pagine del più importante degli scritti delnociani, Il Problema dell’ateismo (1964), laddove egli scrive: «il problema metafisico è quello che nessun altro può aver risolto per me e che quindi mi si presenta in termini sempre nuovi … Non ho davanti a me una sorta di elenco di problemi già risolti, che possano venire raccolti in un trattato: è al contrario nel processo personale di soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi l’esplicazione di una “virtualità” di un’affermazione già sostenuta nel passato; ed è proprio in questa «esplicazione di una virtualità» che la tesi metafisica mi diventa «evidente», liberandomi dalla sempre contingente forma che aveva assunto nelle formulazioni storiche». Alla luce di questo passo risulta chiaro che per Del Noce il perseguimento del fine di rendere cristiana la democrazia non solo non implica alcuna omologazione di carattere etico, ma anzi favorisce lo sviluppo del vero «pluralismo» e di un autentico liberalismo.

Democrazia e totalitarismo: una riflessione a partire da Augusto Del Noce

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