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La lettera a Repubblica, l’intervista-manifesto a Civiltà Cattolica. E poi l’abitudine di telefonare ai fedeli, quel senso di distacco da gerarchie e potere.

I problemi aziendali, quando ci sono, si debbono risolvere. E se non si risolvono, si incancreniscono. Rinviarne la soluzione, non è mai una soluzione.I sei mesi di Papa Francesco letti da Carlo Marroni, vaticanista del Sole 24 Ore e autore per Rizzoli de “Le Mani sul Vaticano”. Per Marroni, Bergoglio non fa “comunicazione, ma spirito pastorale: ognuno ha il suo”. E piace più ai non credenti che alle frange un po’ più rigorose. “Chi crede, in fondo, già è fedele al Papa, gli altri no ma oggi gli si sono avvicinati”.

Prima la lettera a Scalfari, poi l’intervista-manifesto a Civiltà Cattolica, adesso Ratzinger che risponde a Odifreddi: la Chiesa tutt’un tratto inizia a comunicare troppo?
Bergoglio ha cambiato completamente tutti i parametri, avendo avuto la forza di un impatto comunicativo innovativo che ha disintermediato le strutture non solo fisiche ma anche mentali che orientavano la comunicazione papale.

Ratzinger viaggiava a colpi di discorsi misurati, Francesco entra quasi a gamba tesa…
Lo stile di Benedetto è noto a tutti, vi era un certo spazio anche per altri esponenti della Curia. Al di là del giudizio sui fatti specifici, i cardinali come Bertone e Bagnasco avevano occasioni frequenti di parlare. Papa Francesco invece ha ribaltato l’ordine dei fattori tra ciò che dice e ciò che fa, come il capitolo telefonate. Un percorso che però parte dalla sostanza della pastorale.

Qualcuno punta il dito su una sorta di linea-marketing, ma non sembra più un istinto di Bergoglio a guidarlo?
É un talento naturale votato al consenso. Quando erano in Conclave lo scorso marzo, moltissimi dei presenti si interrogavano su tematiche come la strutture dello Ior, invece quello che sarebbe diventato papa Francesco concentrò il suo interventi sui poveri e la Chiesa.

Al di là del merito della risposta a Scalfari, quella lettera ha segnato in qualche modo una nuova fase?
Ha messo un punto. Ovvero Bergoglio è un’autorità morale mondiale, anche e soprattutto per i non credenti nel momento in cui altre autorità morali non ci sono. Lo abbiamo visto sulla guerra non-scoppiata in Siria: il Papa ha parlato quando nessuno parlava. C’erano solo critiche all’attacco e atti formali sulla geopolitica e ha dato impulso alla sua Chiesa addirittura dettando un’agenda. É chiaro che gli Usa non si sono fermati a causa della veglia di preghiera in piazza San Pietro, però il Papa è stata l’unica autorità a pronunciarsi. E i non credenti lo hanno ascoltato.

Ma se Bergoglio non avesse scritto quella missiva, Ratzinger avrebbe vergato ugualmente la risposta a Odifreddi?
A naso credo di no. Odifreddi è uno degli intellettuali più influenti in aree specifiche, e non è un caso che però Scalfari e Bergoglio abbraccino pubblici più vasti, ciascuno nelle proprie proporzioni. Uno scenario che si somma agli eventi comunicativi chiave di papa Francesco in questi primi sei mesi: la conferenza stampa sull’aereo di ritorno da Rio, la lettera a Scalfari, l’intervista a Civiltà Cattolica, l’arrivo al centro Astalli in un’utilitaria, le telefonate. Ma questa secondo me non è comunicazione premeditata.

E cosa allora?
Spirito pastorale. In fondo ognuno ha il suo. E frequentando la rete mi accorgo che piace più ai non credenti che alle frange un po’ più rigorose. Chi crede, in fondo, già è fedele al Papa, gli altri no ma oggi gli si sono avvicinati. In Italia, considerato da tutti un Paese cattolico, i non praticanti superano i praticanti: ma si avverte subito di come l’aria sia cambiata.

Bergoglio dice: “Bisogna sempre considerare l’individuo”. Come pesare le aperture a gay e divorziati?
Semplicemente ha prescritto che non vi sia l’ossessione di questi temi. In secondo luogo la Chiesa mantiene le sue posizioni e lo ha ribadito il giorno successivo all’intervista quando si è rivolto ai ginecologi cattolici.

É una marcia di avvicinamento verso quei temi un po’ di confine?
Si tratta di quell’ambito dove la dottrina può dialogare con l’altra parte dello steccato, penso a divorziati e risposati, un terreno già abbastanza dissodato, per cui credo tra un po’ si arriverà a qualcosa di concreto. Il Papa cita anche il tema del perdono e delle misericordia, che nell’enciclica Lumen Fidei sono ampiamente trattati nell’ultima parte, proprio quella scritta da Bergoglio.

I principi non negoziabili, bandiera dei papi del passato, sono ormai “lettera morta” così come li definisce Il Foglio?
Quei principi nel recente passato erano visti come un elemento da conquistare, cascasse il mondo. Il ventennio di Ruini, Berlusconi e altri ha segnato profondamente questo periodo in quanto basato su parametri politico-dottrinali dai contorni netti. La Cei in questo ha avuto buon gioco per due decenni. Si è evidenziato in modo palese durante i Dico, quando nel 2007 sotto il governo Prodi venne formulato il disegno di legge, anche se era ovvio che non sarebbe passato: si trattava solo di una bandiera all’interno di quell’esecutivo.

twitter@FDepalo

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