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Il passato non torna. Mai. E chi continua a sventolare, propagandisticamente, il rischio dell’eterno ritorno del passato o è in mala fede o, molto più semplicemente, è un ipocrita. Detto questo, è indubbio che lo stesso passato ci ha consegnato stagioni politiche positive, altre alquanto confuse e, purtroppo, alcune decisamente nefaste. Tra queste ultime, è persino inutile ricordarlo, il primato è quasi indiscutibile: è la stagione caratterizzata dal populismo anti politico, demagogico e qualunquista dei 5 Stelle di Grillo e di Conte.

Ora, è altrettanto indubbio che, seppur tra alti e bassi, la lunga e proficua stagione del cosiddetto “centrismo” democristiano ha rappresentato un periodo storico dove, accanto alla salvaguardia della democrazia, alla credibilità delle istituzioni e alla autorevolezza della classe dirigente, si è anche dispiegata un’azione di governo di qualità e schiettamente riformista e democratica. Una stagione, come ovvio e scontato, che è consegnata alla storia e agli archivi ma che è destinata ancora a condizionare anche la fase politica contemporanea. Non sotto il profilo del modello politico ed organizzativo ma, semmai, sul versante del “metodo” e dell’azione politica concreta. Ovvero, nel recupero di tutto ciò che era, è e resta diametralmente opposto se non addirittura alternativo rispetto ai disvalori della permanente radicalizzazione della lotta politica da un lato e della polarizzazione ideologica dall’altro.

Derive, queste, particolarmente gettonate e sponsorizzate dal nuovo corso del Pd di Elly Schlein e di alcuni settori sovranisti della destra. Ed è persino inutile ricordare che la stessa “politica di centro” è semplicemente alternativa rispetto a quella impostazione radicale, massimalista ed estremista. Una impostazione, questa, e come facile evincere dal comportamento dei suoi dirigenti, che prescinde e rinnega la “cultura della mediazione”, che disdegna la ricerca della “sintesi”, che annulla la ricerca delle convergenze politiche e programmatiche e che, soprattutto, individua l’avversario come un nemico irriducibile da delegittimare moralmente prima e annullare politicamente poi.

Ecco, il Centro storicamente, politicamente, culturalmente e anche programmaticamente è alternativo a tutto ciò che è riconducibile alla radicalizzazione e alla polarizzazione politica ed ideologica. Per la semplice ragione che il Centro e “la politica di Centro” sono e restano progetti politici che hanno come obiettivi centrali la qualità della democrazia, la credibilità delle istituzioni democratiche, l’efficacia dell’azione di governo, il rispetto degli avversari e la ricerca di soluzioni il più possibile convergenti e comuni, finalizzate al “bene comune” e non alla sola e banale demonizzazione degli avversari/nemici.

Un Centro che adesso quasi si impone non per regressione nostalgica o per ragioni strumentali o di solo posizionamento di potere ma, al contrario, per motivazioni squisitamente politiche e legate ad una maggior funzionalità della stessa azione di governo. Purché, non dimentichiamo mai di ripeterlo, si parli di un Centro plurale, democratico, dinamico, riformista e inclusivo. Ed è per questi motivi che rileggere oggi, seppur criticamente, il passato è utile, necessario e quasi indispensabile per costruire e progettare il presente e il futuro.

Il Centro è il frutto del miglior passato politico. Scrive Merlo

Il Centro storicamente, politicamente, culturalmente e anche programmaticamente è alternativo a tutto ciò che è riconducibile alla radicalizzazione e alla polarizzazione politica ed ideologica. Perché ha come obiettivi la qualità della democrazia, la credibilità delle istituzioni democratiche, l’efficacia dell’azione di governo, il rispetto degli avversari e la ricerca di soluzioni finalizzate al “bene comune” e non alla sola e banale demonizzazione degli avversari/nemici. Il commento di Giorgio Merlo

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