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Capita di pensare al valore delle parole, di come spesso queste siano utilizzate senza conoscerne a fondo il vero significato. Sono particolari situazioni che mi piace chiamare “riflessioni da spiaggia”, ovvero pensieri che spontaneamente sorgono verso la fine delle vacanze, magari mentre stai contemplando un tramonto sul mare dopo aver goduto di una pigra, meravigliosa giornata di ozio. Un inciso: giova ricordare come per gli antichi latini l’ozio  fosse un’occupazione votata alla ricerca intellettuale, una attività generalmente riservata alle classi dominanti: era contrapposto a negotium, voce che indica occuparsi – più per necessità che per scelta – dei propri affari. Avendo trascorso qualche settimana di vacanza vagabondando da quelle parti, non mi ha poi stupito l’apprendere che furono per primi i Greci ad esaltarne le caratteristiche esclusive, legate all’appartenenza a classi aristocratiche.

Dopo questa divagazione sul valore dell’ozio, veniamo al punto, ovvero il significato delle parole, in particolare di quella che in tante, tantissime occasioni ho sentito pronunciare, ho pronunciato, mi è stata formulata come istanza e necessità dagli intervenuti in occasione di convegni e commenti a miei scritti: cambiamento.

Il cambiamento tutti lo auspicano e tutti lo hanno invocato e promesso nei secoli passati. La parola è politicamente trasversale, è come il prezzemolo, il sale e il pepe di ogni manifesto politico. Se – per assurdo – ci fosse un nuovo partito nato all’insegna del cambiamento, tutti sarebbero probabilmente impacciati, contraddittori o fumosi nel definirne i contenuti e metodi, ma nella ricetta della proposta politica l’ingrediente non potrebbe mancare.

Istintivamente, il termine assume una percezione dinamica: cambiamento significa movimento da una determinata situazione A ad una condizione B mutata rispetto alla precedente e, qualora risultasse migliorativa, degna di assumere anche il significato di evoluzione e portatrice di progresso. Cambiamento è quindi un processo, non il  punto d’arrivo. In ogni caso, il movimento genera resistenza ed attrito: è quindi impensabile, a meno di non trovarsi in un mondo vuoto ed astratto che non esiste, che si generi senza frizioni e conflitti tra gli attori del processo.

Volendo poi andare a collocare tale principio di fisica elementare nel contesto del dibattito politico di questi giorni legato al destino personale di Silvio Berlusconi e – ciò che maggiormente interessa – al suo futuro politico ed a quello del centrodestra, ci vorrebbe quindi una buona dose di lubrificante della migliore qualità, quella del buon senso di tutti coloro che sono veramente interessati e conoscono il significato ultimo della parola cambiamento, nondimeno evitando di confondere il processo di attuazione, il metodo, dal risultato finale, vale a dire la nuova organizzazione e composizione del centrodestra. In un ottica ancor più ampia, riuscire a realizzare quella promessa rivoluzione liberale aspirando ad avere i numeri là dove conta per tradurla in azioni concrete, magari modificando (leggi cambiamento) l’architettura istituzionale dello Stato attraverso una riscrittura di alcuni articoli della carta costituzionale: ogni riferimento alla riforma semipresidenzialista è puramente voluto.

L’auspicio finale non può essere diverso da quello che frizioni ed attriti, resistenze e conflitti che hanno caratterizzato la scorsa tornata elettorale tra gli schieramenti che possiedono invece origini culturali e sensibilità affini, vengano superati alla prossima occasione, quando si presenterà. Si proceda, magari sperimentando alle prossime elezioni europee, ad utilizzare il buon senso e, perché no, la straordinaria capacità di catalizzare il consenso del Cavaliere, salvandolo nel contempo dal modesto opportunismo di molti suoi rappresentanti in Parlamento che lo spingono verso il clamoroso errore di una prova di forza.

Al contrario, conoscendo l’uomo e sapendo che, pur ascoltando ogni suo collaboratore, amico o familiare, deciderà di testa sua, ritengo che sorprenderà tutti ancora una volta, utilizzerà i punti deboli dello storico avversario trasformandoli in suoi punti di forza mentre, dall’esilio di Arcore, sarà disponibile a collaborare con tutto il suo carisma che, sentenze e persecuzioni varie, hanno contribuito a rendere una sorta di mistica ed incondizionata fede da parte di milioni di elettori. Un novello Mandela capace di chiudere la sua carriera politica assumendo definitivamente le vesti dello statista, raggiungendo lo scopo che si era dato ai tempi della sua discesa in campo: evitare di consegnare il Paese alla sinistra. Non si dimetterà e non chiederà la grazia – sarebbe come ammettere le proprie colpe – aspetterà le valutazioni della Giunta e le decisioni del Senato con il probabile voto suicida dei senatori del Pd dal quale trarrà nuova linfa ed ulteriore consenso.

Gli altri attori dell’area liberale e di centrodestra che desiderano partecipare al processo di cambiamento per arrivare ad un nuovo centrodestra, facciano quindi tesoro delle esperienze passate, quelle relative alla scorsa campagna elettorale e quelle successive delle evidenti difficoltà a governare il Paese, per realizzare finalmente un vero bipolarismo che possa evitare pericolose paludi e sterili chiacchiere delle quali siamo tutti stanchi e, per la verità, piuttosto nauseati.

Promemoria per il futuro centrodestra

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