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Quando si parla di cambiamento climatico, la dimensione della difesa non è forse la prima che viene in mente. Tuttavia, gli impatti che l’incrementarsi delle modifiche all’ambiente terrestre hanno in tutti i livelli della sicurezza, da quello strategico fino al tattico, sono sempre più evidenti agli addetti ai lavori. Diffondere questa consapevolezza è stato l’obiettivo della conferenza “Le implicazione del cambiamento climatico sulle politiche di difesa e sicurezza” organizzato dal Centro studi militari aeronautici Giulio Douhet (Cesma) dell’Associazione arma aeronautica. Come registrato dal generale Luca Baione, rappresentante permanente d’Italia presso l’Organizzazione meteorologica mondiale, nella parte introduttiva del Concetto strategico della Nato approvato a giugno 2022 si legge: “Il cambiamento climatico è la sfida che definisce il nostro tempo, con impatti profondi sulla sicurezza alleata”. Come descritto nel documento, il cambiamento climatico ha impatti diretti anche sul modo in cui operano le forze armate, oltre che nello scenario globale. La conferenza è servita dunque ad analizzare questi impatti con una visione multidisciplinare attraverso le relazioni specialistiche del dottor Antonello Pasini, dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, del dottor Matteo Paonni, del Joint research centre della Commissione europea, e del professor Alberto Pirri, della scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

Secondo le previsioni, nel 2030 quasi un terzo degli otto miliardi e mezzo di umani vivrà in zone prive di accesso all’acqua. Si tratta di oltre due miliardi e mezzo di persone. Questa previsione lascia presagire le complessità che si svilupperanno da questa situazione, tra spinta alla migrazione e lotta per assicurarsi le risorse, fragilità che avranno effetti drammatici soprattutto il quadrante meridionale dello spazio euro-atlantico, con impatti profondi in tutta l’area del Mediterraneo. Dal mare nostrum all’Artico, il disgelo del Polo nord “consentirà l’avvicinamento di potenziali attori malevoli direttamente ai confini della Nato” ha sottolineato Baione, ricordando come anche sul versante tattico-operativo il clima avrà profonde conseguenze: “equipaggiamenti, sistemi e apparati soffriranno un maggiore stress dovuto al surriscaldamento delle aree d’operazione” e comporterà anche “l’esigenza di considerare dei periodi di permanenza dei contingenti militari perché sottoposti a condizioni di stress maggiori”.

Come sottolineato dal direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’ambasciatore Elisabetta Belloni, “il nesso fra cambiamento climatico, sicurezza e difesa ormai è un dato acquisito”, tuttavia, ha registrato l’ambasciatore, se “riflettere è certamente importante” è anche il momento di “cominciare a guardare agli strumenti che dobbiamo adottare per cercare di affrontarne le conseguenze”. “L’Intelligence – ha continuato Belloni – ha da tempo posto all’attenzione dei governi europei il tema” e già nel 2008 il rapporto dell’allora Alto rappresentante per la politica estera Javier Solana, sottolineava “l’impatto che il cambiamento climatico avrebbe avuto sulla sicurezza dei Paesi europei”. Naturalmente, l’effetto sui trend migratori è in cima alla lista di fragilità all’attenzione dei servizi di informazione, dato che il cambiamento climatico ha delle profonde implicazioni sulle condizioni di vita di numerose popolazioni che potrebbero costringerle a migrare. “Ma in realtà come Intelligence noi guardiamo moltissimo ad altri temi, ad esempio l’approvvigionamento energetico pulito” ha continuato Belloni, con “la transizione verso energie pulite [che] ci pone di fronte a dei rischi enormi, ad una competizione tecnologica che deve consentire al nostro Paese di essere al sicuro”.

“Sia come gestori della cosa pubblica, sia come gestori di aziende, abbiamo davanti un quadro dei rischi, e ci stiamo accorgendo che la dimensione geoclimatica si aggiunge come un fattore esasperante, perché quello che c’è di nuovo oggi è che i rischi si sovrappongono” ha detto il presidente dell’Ispi, Giampiero Massolo, registrando come ormai le relazioni e le interdipendenze tra Paesi non possano più basarsi esclusivamente sui confini di una cartina politica, ma “sono molto più immateriali di così, riguardano le grandi opere infrastrutturali, le grandi reti di comunicazione (come i cavi sottomarini), e le comunicazioni”. In questo quadro, il cambiamento climatico si inserisce esasperando i rischi. Allora, i Paesi europei si trovano in un momento nella necessità di mitigare i rischi del cambiamento climatico “in un momento in cui i nostri meccanismi tradizionali di meditazione stanno grippando” nel quale “il multilateralismo non è più visto come utile a risolvere le grandi crisi internazionali”. Per quanto riguarda il futuro, allora, “l’incorporazione della dimensione climatica nel discorso della difesa e sicurezza non può che rappresentare un obiettivo a cui tendere” ma rimane un discorso di lungo periodo “ci pensiamo, ma difficilmente a breve potremmo avere dei risultati concreti”.

Di quanto sia importante il ruolo del cambiamento climatico quale moltiplicatore di rischi anche a livello tattico, ne ha parlato il consigliere del ministro della Difesa, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, prendendo in considerazione un elemento cruciale come il meteo, che sarà fortemente modificato dagli effetti della crisi ambientale: “Se n’è accorto Napoleone dopo la battaglia di Waterloo: se avesse avuto un buon servizio metereologico forse avrebbe organizzato in modo diverso la propria tattica quel giorno”. Come ricordato ancora Talò, “è stato menzionato il Concetto strategico della Nato. Nello stesso anno anche l’Unione europea ha redatto e approvato un altro documento, la Bussola strategica. Entrambi stabiliscano quanto sia cruciale tener conto del cambiamento climatico nelle nostre strategie di sicurezza”. Il fattore ambientale per la difesa non è solamente un aspetto geopolitico od operativo, ma rischia di mettere a repentaglio lo stesso strumento della difesa. “Senza difesa e sicurezza – ha ribadito Talò – la nostra crescita economica non è assicurata, [invece] sono il presupposto per la crescita nazionale e internazionale”. In questo senso bisogna investire in sicurezza, ma per farlo bisogna cominciare a tenere conto del quadro reso più complesso dal cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti militari del futuro. “Un camion militare, un carro armato, un aereo militare, una nave” hanno un impatto maggiore rispetto a piattaforme civili “è evidente che ci sono dei costi ambientali, ma senza sicurezza non si va da nessuna parte”. Per questo, in queto quadro, “la politica deve contemperare l’agire con la saggezza”, investendo in maniera corretta, senza però lasciarsi frenare dalle complessità.

Quali sono, allora, i problemi che bisogna tenere a mente per preparare lo strumento militare a quelli che saranno i nuovi paradigmi della difesa e della sicurezza? A porre la domanda è stato il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, il generale Luca Goretti, concludendo la giornata. Alcuni esempi già esistono, come il biocarburante “per vedere se effettivamente siamo in grado di poter produrre carburante che inquini meno” consapevoli che “un aereo per andare per aria ha bisogno di un motore che gira, e per girare ha bisogno di qualche cosa che produca energia”. Altri esempi sono l’uso del fotovoltaico e di sistemi di produzione di energia pulita nelle basi militari, con l’obiettivo di “trasformare tutto il parco infrastrutturale delle Forze armate in un’infrastruttura ecosostenibile”. Quello che i militari possono fare è prepararsi “per consentire ai decisori politici e ai cittadini di essere certi che la difesa nel complesso c’è, e ci sarà anche in futuro, con strumenti utili che serviranno per poter continuare a difendere la nostra libertà”.

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Il nesso tra cambiamento climatico e difesa ormai è un dato acquisito. Dall’Artico che si scioglie alla crisi idrica che aumenta l’effetto migratorio, gli impatti dell’ambiente sulla sicurezza internazionale sono destinati ad aumentare. Anche a livello tattico, equipaggiamenti e personale saranno sottoposti a stress maggiori, un fattore che la politica deve considerare soprattutto mentre si prepara a investire nei programmi di prossima generazione

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