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Telecom Italia, Avio spazio, Alitalia, Ansaldo (Breda, Energia, Sts)i. Sono questi i titoli di alcuni dei principali dossier economici accumulati sulle scrivanie degli ultimi tre presidenti del Consiglio e che ora sono emersi dalla polvere sotto la quale erano stati dimenticati. Il dibattito pubblico in Italia, si sa, segue dinamiche schizofreniche che tendono ad eludere il merito delle questioni preferendo un approccio ideologico.

È capitato così che giornalisti, intellettuali ed operatori del mercato litigassero (e ancora litigano) sul concetto della “italianità”, da difendere o trascurare, dimenticando il principio e il valore della sicurezza nazionale. Quest’ultimo ha fatto la sua comparsa ufficiale nella nuova stagione legislativa che ridisegnato la governance dell’intelligence italiana ed è presente con chiara evidenza nella legge – varata dallo scorso governo – che riforma la cosiddetta “golden share”, ovvero il potere straordinario che uno Stato ha per bloccare quelle operazioni di mercato che vanno ad intaccare, anche solo potenzialmente, proprio la sicurezza nazionale. Mentre prima si voleva tutelare la quota di minoranza detenuta dall’azionista pubblico, adesso la norma prevede la tutela dell’asset ritenuto strategico indipendentemente dalla natura, pubblica o privata, della proprietà. Ove venga chiarito che Telecom Italia sia un’azienda strategica, è tecnicamente sbagliato affermare che si tratta di una società privata e che quindi il governo nulla può. In questo caso, il principio codificato nella legge rischia di restare lettera morta perchè mancano i regolamenti attuativi che burocrati irresponsabili, con la complice insipienza dell’autorità politica, dopo oltre un anno, non sono riusciti a varare.

Si è scritto e fatto votare in un Cdm un documento (‘Destinazione Italia’) debolissimo nei contenuti e robustissimo nelle contraddizioni ma nessuno si è premurato di chiudere il cerchio che consente allo Stato italiano di poter far sentire la sua voce nel mercato, come accade ovunque nella Ue e nel mondo (anche senza leggi specifiche). Che debba intervenire il comitato parlamentare sui servizi segreti a ricordare la strategicità della rete Telecom e che il governo debba correre ai ripari con un provvedimento di rattoppo, la dice lunga sulla impreparazione culturale, e politica, di una larga parte della classe dirigente.

Desta un misto di angoscia e ridicolaggine, il fatto poi che si sia soltanto potuta leggere l’ipotesi di vendere il 49% delle azioni di Cdp Reti (la società strategica per eccellenza) e di farlo rivolgendosi ai fondi sovrani (di proprietà cioè di Stati molto spesso non democratici e dalle complicatissime implicazioni di politica estera).

Le stesse discussioni sulle sorti delle tre Ansaldo e del ramo spaziale di Avio appaiono surreali. C’è chi invoca il Fondo strategico (la mano pubblica travestita da privato), chi da le pagelle ai possibili acquirenti privati e chi dice che prima si vende tutto senza andare per il sottile e meglio è. Tutto questo senza entrare nel merito di una politica industriale che tenga conto di una analisi rischi/benefici che includa anche la valutazione dei fattori che investono le scelte (strategiche, appunto) di relazioni internazionali del Paese.

Il luogo istituzionale per svolgere questo dibattito e arrivare ad una decisione esiste già. È il Cisr, il comitato interministeriale per la sicurezza nazionale. Usare questo consesso solo per ascoltare le brillanti analisi dell’intelligence è quanto meno riduttivo. La sicurezza nazionale merita di più. Si traduce infatti in “interesse nazionale”m quel caposaldo culturale che dovrebbe unire un Paese e che da noi viene bellamente ignorato. Con le conseguenze imbarazzanti che sono davanti ai nostri occhi sgomenti.

Sicurezza nazionale, la Cenerentola del governo

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