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Mentre Snowden comincia ufficialmente il suo esilio russo, Bradley Manning, il soldato semplice che ha messo in moto la vicenda “Wikileaks”, è, letteralmente, sub judice.

Spioni “pop”
Dopo 1275 giorni in prigione, quello che i fan di tutto il mondo chiamano “eroe anti-sistema” e che i capi delle forze armate Usa più prosaicamente definiscono spione e traditore, incontrerà domani la severità delle leggi dello Stato messe a repentaglio da Manning. Dei 22 capi di accusa, 20 sono stati accolti. Ora tutto dipenderà da un giudice donna, il colonnello Denise Lind, nelle cui mani sta la sicurezza dello Stato che il giovane spione avrebbe dovuto proteggere, sopra ogni considerazione personale. Edward Snowden, intanto, è diventato un’icona pop degna di Andy Wharol e ha trovato una propria spettacolare collocazione nell’immaginario globale grazie al sostegno della rete di Julian Assange.

Chi è Denise Lind
Giudice militare in Iraq, Kuwait ed Afghanistan, il colonnello Lind viene da un background tipico dell’élite politico-militare statunitense: professore alla National Defense University e alla Washington University, ha sulle spalle 25 anni di servizio al JAG, Judge Advocate General Corps e oggi presiede la Prima corte giudiziaria dell’esercito Usa, a Washington. A lei spetterà stabilire l’entità della pena. E mandare un messaggio forte ad una comunità dell’intelligence che, per essersi troppo allargata alla “società civile” e alle società commerciali, ha finito con l’incorporarne concetti e disvalori, dove l’apparenza teatrale e il marketing di per sé sono diventati più importanti del compimento silenzioso dei propri compiti e del dovere di proteggere comunità e istituzioni.

E l’Europa cade nella sua stessa trappola
Nell’Europa colta di “sorpresa” dal caso Prism e dallo spionaggio su larga scala da parte dell’Nsa c’è un moto di forte simpatia verso Manning e Snowden. La Russia, più pragmaticamente, ha messo da parte la “simpatia” e ha utilizzato queste due vicende per costruire la base per una critica al democraticismo unilaterale americano – un passo a cui i liberal europei non possono accedere per motivi ideologici e per un connaturato sentimento anti-Putin. Da Bruxelles vengono brandite rappresaglie commerciali ed industriali che sono più dannose per l’Europa che per gli Stati Uniti, che comunque possono sempre rivolgersi al Pacifico se l’accordo di libero scambio nell’Atlantico fallisse.

Compiti a casa per gli Usa
Per gli Usa si tratta di rivedere la politica di spionaggio verso l’Europa. Come sottolineano gli esperti del Csis, bisogna infatti valutare la bilancia costi/benefici di certe azioni, per non urtare le sensibilità molto acute degli europei, la cui ultima bandiera, la “libertà di informazione” sventola per la stagione estiva molto più in alto della loro impotenza militare, coprendola temporaneamente (ma per quanto?) con belle parole. Inoltre, gli Usa dovranno declassificare documenti (processo già iniziato), togliere poteri discrezionali alle agenzie e considerare la portata politica di certi estremismi tecnologici come il famigerato XKeyscore.

Materiale per il Summit Putin-Obama
I capi di Stato americano e russo si incontreranno ai margini del G20 di Mosca di settembre. La diplomazia russa sta abilmente sviluppando anche attraverso il caso Snowden una sua offensiva di soft power, di cui l’Europa è investita pur senza comprenderne le implicazioni strategiche. Utilizzando questa carta, nel linkage internazionale che ormai è fatto anche sui teatri virtuali del Web, Putin potrà chiedere contropartite o alzare il prezzo su altri fronti. Non deve qui sfuggire un dato interessante: il libero scambio trans-pacifico, a differenza di quello trans-atlantico, interessa da vicino la Russia, che è già parte dell’Apec (il principale forum economico dell’Asia-Pacifico).

Manning e Snowden, destini incrociati

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