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Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori l’analisi di Edoardo Narduzzi uscita sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi Italia Oggi.

Inutile girarci intorno, il superamento dello spread dei Bonos sui Btp segnala lo scetticismo con il quale mercati e investitori valutano il governo di larghe intese ma di scarse riforme italiano. Gran parte della credibilità riformista, a essere obiettivi, se l’è giocata l’esecutivo di Mario Monti incapace di andare oltre il solito binomio italico degli ultimi due decenni: maxi incremento delle tasse e riforma previdenziale. Zero sulla riforma del mercato del lavoro, sulle politiche finalizzate a incrementare la produttività, su quelle in favore della ricerca e, soprattutto, un fallimento totale e senza appello la spending review affidata addirittura al tagliatore di professione Enrico Bondi. Il governo Letta quindi si ritrova sulle spalle un doppio handicap. Quello rappresentato dallo scetticismo dei mercati verso la capacità riformista italiana e quello degli effetti della recessione fiscale lasciata in eredità da Monti.

Ma l’economia italiana non è una foresta pietrificata nella quale nessuno dei grandi o piccoli protagonisti subisce passivamente la crisi. In molti stanno innovando e portando avanti politiche originali molto più utili del dato dello spread per interpretare la vera competitività. Questa settimana il collocamento obbligazionario ibrido in dollari di Enel offre segnali positivi ben oltre l’andamento micro della domanda e dell’offerta. Enel è la più grande utility italiana, quindi un’impresa che è una sorta di Btp destinata com’è a offrire rendimenti stabili nel tempo ai suoi azionisti. La stessa società è leader in Spagna e quindi una sintesi unica delle aspettative di andamento delle due economie. Enel, come la Repubblica italiana, ha un forte debito che a fine anno dovrebbe attestarsi a 42 miliardi, figlio in gran parte dell’acquisizione di Endesa. La reazione dei mercati alla sua strategia finanziaria è, perciò, più che utile. Ed essendo un’azienda nella quale lo stato detiene ancora più del 30%, subisce anche gli effetti sul suo rating del deterioramento di quello dell’Italia. Quindi è costretta a giocare una partita altrettanto difficile sui mercati finanziari.

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