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Con quale faccia gli esponenti del Pd s’impuntano sui guai giudiziari di Silvio Berlusconi, se sono i primi a ignorare le leggi? E con quale dignità i rappresentanti del Pdl fanno le vergini vestali della democrazia contro i presunti sconfinamenti dei giudici, se con nonchalance promuovono provvedimenti incoerenti con regole di rango superiore?

Il decreto anti-ogm emanato dai ministri De Girolamo (Pdl), Orlando (Pd) e Lorenzin (Pdl) ha poco a che fare con gli organismi transgenici. Ha molto, invece, ha che vedere con lo Stato di diritto, di cui fa strame.

Il problema più grande, infatti, non è quello relativo alle sementi trangeniche, ma al modo in cui l’Italia – senza ragione e senza ragioni – intende impedirne l’utilizzo.

Il punto è molto semplice: i prodotti dell’ingegneria genetica sono severamente regolati a livello comunitario. Per poter essere impiegati in agricoltura, essi devono superare un percorso autorizzativo assai sfidante, che prevede requisiti di affidabilità e sicurezza (giustamente) superiori a quelli in uso per le varietà convenzionali.

Una volta che un ogm sia autorizzato, esso è del tutto equivalente a qualunque altro prodotto il cui commercio sia lecito all’interno dell’Unione europea: in particolare, vale la libertà di circolazione delle merci e la libertà di cittadini e imprese di farne utilizzi non dannosi. Certo, esistono possibili eccezioni: ma anch’esse sono regolamentate e, per invocarle, occorre muoversi nei limiti del diritto comunitario e fornire giustificazioni. La battaglia italiana contro gli ogm è, invece, in tutta evidenza un cocktail di opposizione pregiudiziale alle nuove tecnologie e “marchetta” a una constituency politica di riferimento (le maggiori associazioni degli agricoltori).

Il precedente divieto, che poggiava sulle stesse basi, è stato bocciato dalla Corte di giustizia europea proprio con la motivazione che esso andava ben al di là di qualunque legittimo atteggiamento precauzionale, ed è probabile che anche questo decreto faccia la stessa fine. Nel frattempo, però, il peggio della politica italiana ha ottenuto il suo risultato: ha comprato qualche mese in più di tempo durante il quale il nostro paese si pone al di fuori del diritto comunitario.

Il messaggio è devastante: il decreto parla solo apparentemente di ogm, ma di fatto c’è scritto che nel nostro Paese chi sta al governo è “legibus solutus”. Forse a Berlino sì, ma in Italia di certo non c’è un giudice – o ci comportiamo come se non ci fosse – e questa è una delle cause per cui il nostro Paese non riesce ad accreditarsi come interlocutore credibile sia nell’agone internazionale, sia rispetto ai potenziali investitori.

Nella sostanza, poi, c’è davvero poco da dire: il divieto non ha alcuna giustificazione né scientifica, né economica. Se il governo italiano crede di avere evidenza inoppugnabile che alcune specifiche varietà transgeniche (in particolare il mais Mon810) determinano rischi per la salute o l’ambiente, non deve far altro che segnalare queste evidenza all’Autorità per la sicurezza alimentare. Il processo di traduzione in legge delle nuove evidenze scientifiche deve esso stesso seguire un percorso di validazione scientifica: non può essere la conseguenza discrezionale di una decisione di tre ministri nessuno dei quali, peraltro, ha formazione specifica sul tema.

All’estero ci considerano spesso dei furbetti che non perdono occasione per fregare il prossimo e non hanno alcun rispetto per il diritto. Sarebbe utile evitare di aggiungere alla lista degli stereotipi, che abbiamo appena confermato, il luddismo e l’avversione al progresso tecnico.

Ogm, perché il governo Letta manda al macero lo Stato di diritto

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