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Il caso Kazakhstan scuote la politica italiana, divisa sulle modalità poco ortodosse dell’espulsione di moglie e figlia del controverso dissidente Mukhtar Ablyazov.
Quali i motivi e le ripercussioni del caso? Riflessioni approfondite da Formiche.net in una conversazione con lo scrittore e giornalista Luigi De Biase, collaboratore del Foglio ed esperto di politica estera e autore de “Il cuore nero di Islamabad”, per Silvy Edizioni.

De Biase, quali ulteriori sviluppi interni ed esterni pensa potrà avere il caso kazako?
Sul fronte interno, a meno di novità clamorose, credo che la vicenda si sia chiusa con la relazione del ministro Alfano. Questo non significa certo che ogni aspetto della storia sia stato chiarito, anzi, i punti oscuri sono ancora tanti. Ma nei fatti la signora Shalabayeva è in Kazakhstan, è sottoposta a misure restrittive che le impediscono di lasciare il Paese e non mi pare che il caso abbia richiamato molta attenzione sul piano internazionale.

Che valutazione dà di questa vicenda dal punto di vista delle relazioni internazionali?
La cosa peggiore è la sensazione che le decisioni del nostro governo e dei nostri apparati di sicurezza possano essere influenzate dai rappresentanti di un Paese come il Kazakhstan, che è lontano da noi non solo dal punto di vista geografico, ma anche culturale.

E quali sono state le ragioni di questa influenza? Politiche? Economiche?
Non credo nella “spectre”, nelle tesi rigorosamente senza prove secondo le quali tutto si spiega con intrecci e intrighi che riguardano petrolio, politici e amicizie particolari. In realtà è abbastanza normale che un ambasciatore o il personale di un’ambasciata abbiano rapporti con le autorità del Paese nel quale si trovano, e che cerchino di influenzarle per trarne benefici: dopotutto il lavoro dei diplomatici comprende anche questo. È possibile che nel caso Shalabayeva si sia sottovalutato un problema, il che sarebbe comunque una novità perché il nostro Paese ha sempre mostrato grande attenzione per i diritti umani, anche a costo di assumere posizioni difficili sul piano diplomatico. Forse qualcuno ricorderà il caso Öcalan e il dibattito che si aprì alla fine degli anni Novanta per l’estradizione di un uomo che pure era considerato il capo di un’organizzazione terroristica.

Come considera allora gli attacchi della stampa anglosassone a Silvio Berlusconi per i suoi rapporti col dittatore kazako?
Bisogna dire prima di tutti che l’espulsione di Shalabayeva e della figlia è un fatto, è avvenuta davvero, e quindi è normale ricevere critiche dalla stampa straniera. Quella anglosassone, poi, ha sempre avuto lo stesso atteggiamento nei confronti dell’Italia, descrive da sempre come “immorali” i rapporti fra i nostri politici e i leader di Paesi come il Kazakhstan, che si tratti di Silvio Berlusconi o di Romano Prodi non fa differenza. Naturalmente il loro approccio cambia quando è David Cameron a stringere la mano di Nursultan Nazarbayev (nella foto), o quando Tony Blair accetta di diventare il consulente del presidente kazaco. È un moralismo un po’ intermittente, ma chi segue la stampa straniera sa come funzione e non si meraviglia.

Lei che si occupato spesso di Kazakhstan, come giudica il regime di Astana?
Non si meravigliano neppure i kazaki, che hanno compreso questo meccanismo e hanno sostituito le riforme democratiche con le relazioni pubbliche, con grandi viaggi per i giornalisti stranieri in cui si mostrano le meraviglie di Astana, con milioni di dollari per eventi e società sportive, con pagine e pagine di pubblicità sui grandi quotidiani anglosassoni. Risultato: per certe testate il problema vero non è Nazarbayev, il problema sono alcuni leader europei e certe compagnie che lavorano regolarmente in Kazakhstan.

Kazakhstan, i due pesi e le due misure della stampa anglosassone

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