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Il vertice Ue-Cina del 2022 – appesantito dall’ambiguità cinese sulla guerra di aggressione russa scoppiata poche settimane prima – fu un “dialogo tra sordi”, come lo definì al tempo il capo della diplomazia europea Josep Borrell. Lo è stato anche quello di inizio dicembre 2023, ma come rileva Alicia García-Herrero, senior fellow di Bruegel (forse il think tank più ascoltato a Bruxelles), la sordità selettiva esisteva in campo economico: Pechino continua a minimizzare l’entità della leva che può esercitare contro l’Ue per vie economiche.

Il primo e principale indicatore è lo squilibrio commerciale sempre più ampio – 600 miliardi di euro di interscambio complessivo, 400 dalla Cina all’Ue e 200 nell’altro senso, forbice in espansione. Questo dato va a braccetto con la sovraccapacità produttiva cinese in campi come acciaio e tecnologie verdi – auto elettriche in primis. Non aiuta che le realtà cinesi possano contare su ingenti sussidi e distorcere i mercati esteri, e nemmeno il trattamento preferenziale di Pechino nei confronti delle imprese nazionali – ove dall’altra parte c’è un’apertura decisamente limitata alle realtà europee, che fanno fatica a competere nel mercato cinese prima ancora di essere soggette a purghe e strette regolatorie nel nome della sicurezza secondo Xi Jinping. Per non parlare della rigidità nel campo del trasferimento transfrontaliero dei dati.

Tutti questi sono temi che gli europei sollevano da tempo, e ripetutamente, in parallelo alle altre preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e in Tibet, sulle minacce allo status quo nello Stretto di Taiwan, sul rapporto con la Russia nel contesto della guerra in Ucraina. In questo ultimo campo Bruxelles ha indicato che è pronta a passare dai rimproveri (sulle esportazioni di prodotti dual use) all’inserire le aziende cinesi nel dodicesimo pacchetto di sanzioni progettato per non far arrivare armi alla Russia. Qualcosa di simile sta accadendo anche nel campo strettamente economico, dove la Commissione Ue si è decisa ad avviare un’indagine sulle auto elettriche e sull’acciaio cinesi.

Questo sta succedendo perché la risposta di Pechino alle preoccupazioni politiche, economiche e in materia di diritti umani dell’Ue finora è stata “superficiale”, scrive García-Herrero. Il nuovo documento di posizione della Camera di commercio europea in Cina contiene più di 1000 raccomandazioni in merito alla Cina, oltre alle questioni su bilancia commerciale e sovraccapacità. Ma invece di prenderle in considerazione, al summit il premier Li Qiang ha avvertito i rappresentanti dell’Ue di non “politicizzare” le economiche e commerciali. La sua speranza è che l’Ue sia “prudente nell’introdurre politiche economiche e commerciali restrittive e nell’uso di rimedi commerciali” – un ovvio riferimento all’indagine sulle auto elettriche.

Il sospetto cinese è che l’irrigidimento europeo sul lato commerciale sia frutto dell’allineamento politico con gli Stati Uniti, che da parte loro hanno reclutato anche Paesi come l’Olanda nelle restrizioni tecnologiche contro il rivale. La linea emergeva anche dagli articoli dei megafoni internazionali del Partito comunista cinese che accusavano il governo italiano in procinto di uscire dalla Via della Seta di prostrarsi ai desiderata di Washington. Una visione che evidenzia il consolidamento del fronte occidentale, ma non il perché stia avvenendo (leggi: assertività crescente di Xi e l’alleato Vladimir Putin), e così facendo derubrica le preoccupazioni europee, che sono innervate di numeri e dati e non una cieca ideologia anticinese.

Risultato: il vertice è andato come ci si aspettava, con Bruxelles e Pechino che si sono lamentate l’una dell’altra senza offrire una soluzione. “Il dialogo continuerà, come dimostra la creazione di nuovi gruppi di lavoro su questioni di interesse, come la regolamentazione finanziaria”, scrive l’economista di Bruegel, ricordando che l’Ue si aspetta che le autorità cinesi trovino una soluzione sui flussi di dati transfrontalieri. Ma si profilano due momenti-chiave che andranno a definire il rapporto: l’eventuale decisione Ue di includere le aziende cinesi nel nuovo pacchetto di sanzioni, e la reazione cinese all’eventuale decisione europea – presa a seguito della chiusura dell’indagine anti-sovvenzione – di imporre dazi sulle auto elettriche cinesi.

Per García-Herrero la ritorsione probabile, “viste le misure adottate dalla Cina in passato, sarà quella di vietare le esportazioni di materie prime critiche per la produzione di tecnologia verde”. La tendenza a cui allude è quella che ha portato Pechino a rispondere alle nuove restrizioni Usa sui chip con lo stop all’export di gallio, germanio e grafite – componenti fondamentali per i prodotti tecnologici come chip e batterie. E a inizio 2023 le autorità cinesi si sono mosse per limitare anche l’esportazione di materiali essenziali per la costruzione di pannelli solari.

Va ricordato che – come ha dimostrato l’Europa abbandonando velocemente le importazioni di gas russo all’indomani della guerra energetica di Putin – queste mosse possono essere un’arma a doppio taglio. In questo caso, in un momento in cui le esportazioni cinesi verso gli Usa si stanno riducendo rapidamente e l’economia cinese è in difficoltà, le esportazioni verso l’Ue sono sempre più importanti, riflette l’esperta. “Questo spiega le preoccupazioni di Pechino riguardo alle intenzioni dell’Ue di condurre politiche di de-risking, il che rende ancora più sorprendente la mancanza di risultati in questo vertice”. E, aggiungeremmo noi, spiega anche perché non ci sono state (almeno finora) vendette cinesi contro l’Ue per l’apertura dell’indagine sulle auto elettriche.

Come rileva Bloomberg, sia il governo che gli automaker cinesi come BYD stanno collaborando con l’indagine – e “la risposta attenuata evidenzia la pressione a cui è sottoposto il mercato cinese dei veicoli elettrici, già sovraccarico di offerta e aggravato dalla guerra dei prezzi scatenata da Tesla nell’ultimo anno”. L’Ue rappresenta circa un terzo delle esportazioni di veicoli elettrici cinesi, e il mercato è in piena espansione; dunque i cinesi “si tirerebbero la zappa sui piedi se dovessero reagire e peggiorare le relazioni con uno dei loro maggiori partner commerciali”, ha dichiarato l’analista del settore Matthias Schmidt alla testata statunitense.

Dunque, vista la spinta europea verso il de-risking, è probabile che sarà Bruxelles a compiere la prossima mossa. Se dovesse imporre tariffe punitive contro le auto elettriche cinesi, starà a Pechino. Difficile, però, che il Partito comunista cinese incassi senza rispondere. E la capacità europea di assorbire l’impatto della vendetta dipenderà in larga misura dal progredire dei negoziati con gli Usa e altri partner per ripensare le catene di approvvigionamento e creare un fronte commerciale contro lo strapotere della Cina in ambito greentech. Del resto, come ha dichiarato Brad Setser, senior fellow del Council of Foreign Relations, Usa e Ue “sono uniti nel non volere che la transizione verso i veicoli elettrici sia una transizione verso i veicoli elettrici cinesi”. Ma tra i principali ostacoli in questa convergenza ci sono le capitali europee che viaggiano in senso opposto – verso Est.

Non solo auto elettriche. La sordità selettiva nel dialogo Ue-Cina

Pechino continua a non recepire le preoccupazioni economiche europee, derubricandole a frutti della vicinanza con gli Stati Uniti. Dal summit di dicembre è emersa con chiarezza la distanza delle posizioni, come spiega García-Herrero (Bruegel). E sembra inevitabile che il conflitto in materia di commercio andrà ad inasprirsi. Occhi aperti sull’auto elettrica (e sull’unità delle capitali Ue)

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