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Nelle ultime settimane, l’Italia sta perfezionando il suo riposizionamento nei confronti di Pechino. Il governo presieduto da Giorgia Meloni ha infatti ritenuto che la partecipazione del nostro paese alla Belt and Road Initiative, partecipazione sviluppatasi in seguito alla firma dell’apposito Memorandum of Understanding da parte del governo presieduto da Giuseppe Conte nel 2019, non rappresentasse al meglio l’interesse nazionale dell’Italia, optando piuttosto per la formula del partenariato strategico.

Ma l’Italia non è l’unico Paese del blocco euroatlantico che in questo periodo sta revisionando i suoi rapporti con la Repubblica Popolare. Il Portogallo guidato dal premier socialista Antonio Costa stai infatti mettendo dei paletti alla cooperazione con Pechino, cooperazione che va avanti da ben prima del lancio della “Nuova Via della Seta”, iniziativa a cui Lisbona ha aderito nel 2018.

Il sodalizio tra il Paese iberico e il gigante asiatico si è fino ad ora strutturato principalmente dentro alla dimensione economica. Nel 2008, la crisi finanziaria globale ha colpito duramente l’Europa e l’economia portoghese è stata una delle più colpite. Con l’aggravarsi delle turbolenze nell’eurozona, le grandi agenzie di rating hanno declassato il debito portoghese livello ‘spazzatura’. Il Paese è sprofondato nella più grave depressione economica registrata dagli anni Ottanta, arrivando nel 2011 a dichiarare bancarotta e a richiedere un bailout internazionale sotto l’egida europea, che è stato concesso dietro la promessa di interventi governativi atti a risanare l’economia portoghese.

Tra questi interventi di austerity vi è stata una forte ondata di privatizzazioni che ha attirato un grande interesse da parte degli investitori cinesi. Ulteriormente stimolate da programmi come “Golden Visa”, che garantivano il permesso di soggiorno a cittadini stranieri che avessero investito in Portogallo almeno 350.000 dollari.  Dal 2012, più di 4.600 permessi sono stati erogati a cittadini del Dragone grazie a questo programma. Cifre esemplificative dell’intervento cinese nel paese atlantico.

I settori toccati da questa dinamica sono molteplici e strategici. Da quello delle assicurazioni (nel maggio 2014, la conglomerata cinese Fosun International Limited ha acquistato sia l’85% della plurisecolare compagnia assicurativa Fidelidade che il fornitore di assicurazioni sanitarie Multicare) a quello bancario (All’indomani del crollo della Bank Espirito Santo nel 2014, il braccio di investimento dell’istituto finanziario è stato venduto a Haitong Securities, una società di servizi finanziari cinese, per 379 milioni di euro. Nel 2016, Fosun avrebbe acquistato il 16,7% di Millennium BCP, mentre nel 2019 la quota di Fosun nella banca aveva raggiunto il 27,25%, diventando il maggiore azionista e conferendo un controllo significativo sulla società), passando per quello energetico (La società statale China Three Gorges Corporation ha acquisito il 21,55% della statale Energia de Portugal, lanciando un’offerta pubblica per il controllo totale di EDP nel 2018 che è stata tuttavia respinta dagli azionisti, mentre la State Grid Corporation of China ha acquistato il 25% di Redes Energeticas Nacionais).

Tuttavia, nonostante gli strettissimi rapporti economici con la Cina, sul piano politico e diplomatico il Portogallo non si è mai allontanato dalle sue posizioni atlantiste e dagli Stati Uniti, suo più grande alleato. E la recrudescenza del confronto tra Pechino e Washington registrata negli ultimi anni ha portato Lisbona a prendere una posizione più netta.

Di recente, il ministro degli Esteri João Gomes Cravinho ha dichiarato che il Portogallo, uno dei paesi che ha rifornito militarmente Kyiv, avrebbe “rivisto il significato delle relazioni politiche ed economiche” se la Cina avesse fornito armi alla Russia per la sua guerra in Ucraina. Lisbona si sta anche assumendo una linea dura (in modo coerente con l’Europa) su commercio, investimenti e tecnologia 5G. Il libretto degli assegni cinese, finora fonte affidabile di generosità, potrebbe ora diventare una passività politica, poiché crescono i dubbi sull’acquisto di influenza da parte di una potenza straniera espansiva e autoritaria.

Non è ancora chiaro tuttavia se il Portogallo deciderà, come il nostro paese, di abbandonare la Belt and Road Initiative in favore di un partenariato strategico (così da risaltare il carattere economico dei propri legami con la Repubblica Popolare), o se deciderà di rimanere dentro all’iniziativa, pur delineando il suo netto distacco politico rispetto alle posizioni di Pechino.

Antonio Costa

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