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L’attuale modello produttivo del munizionamento può sembrare vantaggioso in tempo di pace, ma espone i suoi limiti in situazioni di crisi, quando la domanda aumenta in maniera inaspettata. È questo il nodo centrale espresso dal segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano, in audizione davanti alla commissione Esteri e Difesa del Senato, nell’ambito dell’analisi sulla legge a sostegno della produzione di munizioni. “Nel settore della produzione di armamenti abbiamo assistito a un cambiamento da un’economia strategica ad un’economia di mercato” ha detto il generale, sottolineando come tale approccio abbia “condotto a un sistema economico sempre più interconnesso che ha portato negli anni a preferire dinamiche di delocalizzazione e frammentazione dei processi produttivi con la conseguente perdita di alcune capacità produttive essenziali”.

L’efficienza nella produzione in tempo di crisi

In particolare, si è affermato secondo Portolano un modello di supply chain definito just in time “in cui la produzione è perfettamente allineata alla domanda e non si prevedono scorte di magazzino”. Tale modello just in time ha prodotto due effetti, secondo Portolano: “ha intaccato la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica dei Paesi europei” dipendenti dall’estero per le materie prime, semilavorati e sottocomponenti. Tutto ciò “ha ridotto la flessibilità di adeguamento della produzione in caso di aumento inatteso della domanda”, una soluzione economicamente valida se in pace, ma assolutamente inadatta di fronte alle crisi.

Le lezioni ucraine

Ovviamente, la guerra in Ucraina è un momento di crisi per l’intero Occidente. Alla guerra scatenata dal Cremlino, l’Europa ha risposto supportando Kiev “attingendo alle proprie scorte di armamenti e munizioni”, che tuttavia “si stanno dimostrando non adeguate a sostenere lo sforzo ucraino intenso e prolungato”. Di fronte a questa realizzazione i Paesi hanno cercato di aumentare la produzione, ma il tentativo ha fatto emergere ulteriori due aspetti: “il sottodimensionamento della capacità produttiva, tarata per sostenere la domanda tipica del tempo di pace, e la presenza di numerose vulnerabilità nella catena di approvvigionamento”. Ci troviamo, per il generale, nel paradosso per cui l’Occidente “sta supportando un Paese in guerra con una logica del tempo di pace”, una sfida “a cui non eravamo preparati”.

Gli opifici nazionali

Per il generale, l’obbiettivo è chiaro, incrementare la produzione: “La necessità del ramp up si applica allo stesso modo sia alla produzione di munizioni e missili sia a quella di nuovi sistemi d’arma”, con un focus speciale, dettato dall’urgenza, sulle munizioni, “perché se non saremo in grado di assicurare un adeguato livello di disponibilità in tempi rapidi potremmo mettere a rischio la possibilità di successo dello sforzo ucraino”. Senza le munizioni, infatti, anche i sistemi più all’avanguardia non funzionano. La soluzione? Per il generale è investire “sugli opifici nazionali, anche beneficiando dei finanziamenti dell’Ue” un modo per dare più flessibilità al sistema, conferendo “maggiore autonomia nella gestione dei processi produttivi, garantendo flessibilità al sistema di difesa nazionale, che acquisirebbe la capacità di modulare la produzione in funzione delle esigenze” oltre ad assicurare una maggiore “indipendenza da attori esterni, autonomia strategica e resilienza nazionale”.

Bisogna aumentare la produzione di munizioni. Il punto del gen. Portolano

In commissione Esteri e Difesa del Senato, il segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano, lancia l’allarme sul modello di produzione delle munizioni, basato su strategie per tempi di pace e inadatto ad affrontare periodi di crisi

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