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Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi comparso sul quotidiano Italia Oggi.

Nel maggio del 2010, dopo 90 anni esatti di assenza dal governo britannico, il leader dei Liberal-Democratici, Nick Clegg, ha potuto festeggiare due volte: il ritorno del suo partito al potere e la sua nomina a vice premier dell’esecutivo di Londra. Da allora la popolarità di Clegg ha conosciuto un calo costante e il posizionamento del suo partito nelle intenzioni di voto non ha certamente beneficiato del tanto agognato ritorno al governo.

L’esempio dei Lib-Dem

I Lib-Dem sono sì rientrati nelle stanze del potere londinesi, ma hanno pagato il prezzo salato che la politica riserva in queste occasioni: oscurati dalla leadership del premier conservatore David Cameron, che ha perfino imposto un’agenda europea antitetica alla politica pluridecennale pro Bruxelles del partito di Clegg, e omologati dall’azione dell’esecutivo da loro condizionata poco o nulla. Perfino la tanto agognata riforma elettorale, cioè il referendum per introdurre un sistema di voto proporzionale nel Regno Unito, non è stata portata a casa.

L’unione può omologare

Andare al governo come forza partitica di complemento, da vice di un premier altrui, toglie quasi ogni spazio di manovra politica e riduce la novità o le differenze di partenza delle forze coalizzate. Se, sulla carta, i Lib-Dem nel 2010 erano vissuti come abbastanza diversi nel programma dai Conservatori, oggi i due partiti appaiono agli elettori britannici come forze politiche molto più simili. Lo stare insieme, insomma, omologa e smussa le distanze.

Le sfide di Grillo

Lo stesso pericolo lo correrebbe il più votato movimento italiano, quello fondato da Beppe Grillo, se accettasse la atipica e in qualche modo poco spiegabile apertura che il leader sconfitto del Pd, Pier Luigi Bersani, gli ha fatto subito dopo il voto. Bersani sogna un governo politico con il M5S, cioè un governo di coalizione capace di ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento. Il Nick Clegg della situazione dovrebbe essere, con molta probabilità, un tecnico indicato da Grillo. Magari il suo braccio destro Gian Roberto Casaleggio.

Lo scontato no di Grillo a Bersani

Per Grillo, accettare l’offerta di Bersani, significherebbe azzerare in un sol colpo tutta la potenzialità di cambiamento del sistema tradizionale dei partiti che il suo movimento ha saputo finora esprimere. Dopo poche settimane dal varo del governo il M5S si troverebbe con le mani legate: costretto a seguire l’ordine del giorno imposto da Bersani e dal Pd senza avere, praticamente, alcuna possibilità di far effettivamente valere il suo peso parlamentare, perché un governo di coalizione non è facile da infartuare una volta varato. Non deve perciò stupire il rifiuto di Grillo alle avances di Bersani.

Perché Grillo non sosterrà mai un governo Bersani

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi comparso sul quotidiano Italia Oggi. Nel maggio del 2010, dopo 90 anni esatti di assenza dal governo britannico, il leader dei Liberal-Democratici, Nick Clegg, ha potuto festeggiare due volte: il ritorno del suo partito al potere e la sua nomina a vice premier dell'esecutivo di Londra. Da allora la popolarità…

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