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In una situazione in cui la finanza pubblica è gravata dall’onere dei bonus edilizi, dal rialzo dei tassi di interesse e dal rallentamento del ciclo economico internazionale, con la prossima manovra di bilancio il governo è chiamato a fare scelte difficili e selettive. Dall’analisi della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2023, deliberata dal Consiglio dei ministri lo scorso 27 settembre, appare chiaro che il governo abbia deciso di intervenire, prioritariamente, per cercare di risolvere quelli che sono i problemi più urgenti del Paese, ossia: l’incremento dell’inflazione, la povertà energetica ed alimentare, la decrescita demografica. Tutto ciò, promuovendo, al contempo, gli investimenti, l’innovazione, la crescita sostenibile e la capacità di reagire dell’economia.

La politica del governo è, quindi, fondata, da un lato, sull’individuazione di un punto di equilibrio tra sostegno alla crescita economica, agli investimenti e al potere d’acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle a basso reddito, e dall’altro, sulla sostenibilità della disciplina di bilancio e sulla riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. Bene, allora, che il governo abbia deciso di confermare, per il 2024, il taglio del cuneo contributivo attuato nel corso del 2023 (riduzione di 6 punti percentuali se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692,00 euro, riduzione di 7 punti percentuali se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 1.923,00 euro).

Tale misura – che soddisfa, al contempo, l’esigenza di proteggere il reddito disponibile delle famiglie con redditi medio-bassi e di contenere il costo del lavoro delle imprese – ha un costo finanziario stimabile tra i 9 e i 10 miliardi di euro. Nella medesima direzione si muove anche l’obiettivo del governo di finanziare, con la prossima manovra di bilancio, l’attuazione della prima fase della Riforma fiscale, con il passaggio delle aliquote Irpef dalle attuali quattro a tre. In pratica, l’obiettivo di fondo è quello di accorpare il primo scaglione di reddito (fino a 15.000 euro) con il secondo scaglione (da 15.000 euro a 28.000 euro). In tal modo, avremmo la seguente curva dell’Irpef:

• fino a 28.000 euro di reddito, aliquota del 23%;

• oltre 28.000 euro e fino a 50.000 euro di reddito, aliquota del 35%;

• oltre 50.000 euro di reddito, aliquota del 43%.

Tale intervento avrebbe un costo finanziario stimabile in oltre 4 miliardi di euro. E la riforma fiscale è una delle principali iniziative strutturali che il governo intende mettere in campo nel corso della legislatura. Si tratta di una riforma che persegue, in maniera contestuale, l’impulso alla crescita attraverso la riduzione del carico impositivo, il contrasto di evasione ed elusione, la semplificazione degli adempimenti, la certezza del diritto. Questo approccio complessivo è stato sottolineato dallo stesso viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo: “è una delega ampia, un disegno organico e ambizioso che vuole rimettere la persona al centro dell’imposizione superando gli interventi di manutenzione, non strutturali e organici, fatti dopo gli anni Settanta.”

Questa è, sicuramente, la strada giusta da seguire perché, oggi, non vi è davvero addetto ai lavori, cittadino o impresa che non concordi sul fatto che non è più tempo di “manutenzioni ordinarie” e che è, invece, necessario rinnovare profondamente il sistema fiscale del nostro Paese, se davvero lo si vuole rendere struttura concorrente alla crescita ed alla competitività dell’Italia, oltre che alla sua coesione sociale e territoriale.

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