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Niente da fare. Mancano circa tre mesi allo scoccar dell’elezioni polacche e la tempesta che infuria da Bruxelles a Strasburgo, passando dall’impasto di cemento armato e vetrate del Bundeskanzleramt fino a travolgere il viale Aleje Ujazdowskie di Varsavia, non sembra placarsi. Anzi. Il vento della discordia e del sospetto soffia sempre più forte.

Martedì 11 luglio, il Parlamento europeo ha espresso preoccupazione in riferimento a tre iniziative legislative ad opera dell’esecutivo di Morawiecki: gli emendamenti al codice elettorale adottati poco prima delle elezioni parlamentari, la “legge Tusk” e la riforma della giustizia. Perplessità esternata in seguito alla proposta di risoluzione presentata dai rappresentanti del Partito popolare europeo, del gruppo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, Renew, Verdi e The Left. Andando per gradi, i firmatari ritengono che la riforma elettorale non sia in linea con gli standard democratici internazionali, che la nuova “Commissione statale sull’interferenza russa” dovrebbe essere eliminata o sospesa e modificata, e che i timori circa l’indipendenza della magistratura siano più che fondati.

Punto numero uno, secondo i deputati le modifiche apportate al codice elettorale possono discriminare gli elettori all’estero, inoltre la Camera della Corte suprema polacca incaricata delle controversie elettorali “non può essere considerata un tribunale indipendente e imparziale”. Perciò, la risoluzione vuol essere un’esortazione indirizzata alle autorità polacche affinché possano rivedere e allineare il metodo di gestione della tornata elettorale con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).

Punto numero due, la “Commissione di Stato per l’esame dell’ingerenza russa nella sicurezza interna della Polonia” dal 2007 al 2022 (un organo amministrativo con il potere di interdire i singoli dai pubblici uffici), dev’essere abrogata, anche perché, sempre secondo i critici, prende di mira figure dell’opposizione, come ad esempio l’ex primo ministro Donald Tusk. Quantomeno, bisognerebbe sospendere i suoi effetti fino a quando la Commissione di Venezia non si sarà pronunciata in merito, e qualora l’atto rimanesse in vigore la Commissione dovrebbe avviare una procedura d’infrazione accelerata e rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Ue.

Punto numero tre, si ribadisce ancora una volta la fragile condizione in cui versa lo stato di diritto in Polonia, soprattutto “a causa delle azioni sistematiche del governo da diversi anni, anche attraverso il Tribunale costituzionale illegittimo e il Consiglio nazionale della magistratura (Njc)”.

La proposta di risoluzione è stata, per l’appunto, approvata dal Parlamento europeo con 472 voti favorevoli, 136 contrari e 16 astenuti.

Ma Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) non ci sta, e riparte in contropiede. Punta i responsabili per consegnarli all’opinione pubblica polacca. In ordine di colpevolezza: opposizione (centristi e socialisti), i tecnocrati di Bruxelles e ovviamente l’onnipresente Aquila nera, Berlino. Appollaiata sui rami della foresta baltica, sorveglia il volo della sua rivale in penne bianche, sopportabile finché contenuto nei confini segnati dall’Oder, finché non abbozza pretese egemoniche sul piano continentale e oltre.

In un’intervista rilasciata a Polskie radio, l’eurodeputato Kosma Złotowski afferma che “non sono tanto i parlamentari occidentali a detestare questo comitato (commissione d’indagine sull’influenza russa in Polonia) quanto i parlamentari polacchi d’opposizione che non accettano l’aumento del numero dei seggi elettorali. Ma poiché questa è probabilmente la quarantesima risoluzione contro la nostra nazione, ci siamo abituati… e ci  siamo persino abituati al fatto che alcuni parlamentari polacchi del Parlamento europeo votino contro emendamenti come quello presentato per mobilitare i fondi dal Piano nazionale di ripresa per la Polonia”.

E a calcare la mano sulla narrazione del nemico in casa, ci pensa Mateusz Morawiecki che scagliandosi contro Piattaforma Civca (Platforma Obywatelska) e Lewica, sottolinea come il rifiuto degli emendamenti del PiS alla risoluzione del parlamento europeo sulla Polonia equivalga al rigetto del Kpo (Piano nazionale di ricostruzione), dei fondi all’adozione dei rifugiati ucraini, e ad una convergenza sulla linea volta all’accoglienza degli immigrati clandestini.

“Un politico polacco ha un solo dovere: servire lo stato polacco” ha dichiarato Morawiecki. “La richiesta di denaro dal Kpo era il primo emendamento, il secondo il divieto di accoglienza dei clandestini, e il terzo riguardava la richiesta di fondi speciali per i profughi ucraini. E cosa hanno fatto i parlamentari di Po, Lewica, quelli che oggi rivendicano ipocritamente denaro dal Kpo? Ebbene, ieri durante la votazione hanno respinto gli emendamenti dei deputati del PiS”.

E la Germania? Per la corte di Kaczyński, la Germania c’entra sempre quando si tratta di mettere i bastoni tra le ruote alla macchina polacca. E lo ha ricordato l’eurodeputato del PiS, Patryk Jaki, durante il dibattito che ha preceduto il voto sulla risoluzione, trascinando sul banco degli imputati i rappresentanti tedeschi. “Dopo l’attacco all’Ucraina e l’annessione della Crimea nel 2014 (…) il vostro Paese ha continuato a fare affari con la Russia” ha tuonato Jaki. “Avete venduto armi a Putin, costruito il Nord Stream, e Putin ha corrotto i vostri politici. Nel libro paga del Cremlino ci sono l’ex cancelliere tedesco, i primi ministri di Francia e Austria. (…)per questo cerchi di difendere Tusk. E tutti sembrano essersi ammalati di amnesia”.

Amnesia collettiva che ha condotto la maggioranza del Parlamento europeo a convalidare la necessità di una missione di osservazione dell’Osce alle elezioni nazionali polacche.

Dunque, ancora una volta scontro di visioni, di scuole di pensiero, di interessi e di debiti storici non saldati. Un nodo gordiano che a quanto pare non c’è altro modo di sbrogliare se non sfoderando la spada. E se Varsavia a risoluzioni e strigliate ci ha fatto il callo, l’Unione europea dovrà abituarsi alla tenacia del sovranismo polacco che, diversamente dalle destre dell’Europa centro-occidentale, vanta radici antiche ma non anacronistiche, si nutre e trae fondamento dall’esistenza stessa della nazione polacca e della sua coscienza collettiva. E non sarà certo l’ennesima bacchettata dell’Ue a ridimensionare le rivendicazioni e il decisionismo che anima l’esecutivo di Morawiecki. Anzi, in un certo senso, non fa che legittimare la battaglia cardine che il PiS conduce al di fuori dei confini nazionali: la costruzione di un’Europa politica e di una politica europea, condotta da un parlamento legittimato a legiferare, e che oltrepassi i freddi steccati del normativismo, pervasivo e totalizzante che paralizza l’azione e l’energia politica.

Paradossalmente, lo sgambetto di Bruxelles potrebbe rivelarsi un miracoloso calcio di rigore in favore del PiS. Proprio a ridosso delle elezioni che tanto preoccupano popolari e socialisti di tutta Europa.

Risoluzione contro la Polonia. Cross o fallo a Morawiecki?

Di Giulia Gigante

Il Parlamento europeo approva la proposta di risoluzione contro le ultime scelte che hanno segnato l’operato del governo di Mateusz Morawiecki e che hanno fatto molto discutere: la riforma del codice elettorale, la riforma della giustizia e la spigolosa “legge Tusk”. Ma Varsavia non si piegherà così facilmente…

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