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I soldi per la manovra sono pochi e per questo il governo non metterà mano sulle pensioni. Al massimo, pur con le poche risorse a disposizione, Palazzo Chigi non esclude un mini intervento. Per esempio, cercando di rivalutare le minime e poi, se da un lato non ci sarà Quota 41, potrebbero arrivare modifiche su Quota 103 che verrebbe rimodulata con finestre di uscita prolungate. Il menù delle pensioni finisce qui, perché per mettere mano alla previdenza servono tanti soldi e il governo non ne ha. Tutto ciò premesso, dal rapporto 2024 presentato dall’Inps, emergono alcune note positive, altre meno. E tutto converge su una conclusione, che potrebbe essere anche una sintesi estrema: il sistema pensionistico italiano continua a stare in piedi sulle proprie gambe, ma nel lungo termine ci potrebbero essere delle criticità.

Non bisogna mai dimenticare che l’Italia vanta una delle spese pensionistiche tra le più alte, poco meno di 350 miliardi all’anno, circa un terzo della spesa pubblica nazionale. E con l’invecchiamento della popolazione, unito alla crisi demografica, va da sé che aumentino le uscite dal mondo del lavoro a fronte di una diminuzione dei contributi, nel senso che la prima busta paga arriva sempre più tardi. Se poi ci si mettono anche le uscite anticipate, ovvero gli scivoli per andare prima in pensione, ecco che la spesa rischia di lievitare. Il che pone un serio interrogativo sul futuro del sistema pensionistico italiano.

“L’età media di accesso alla pensione in Italia, grazie alla possibilità di uscire in anticipo rispetto all’età di vecchiaia, è di 64,2 anni e questo, insieme alla generosità dei trattamenti rispetto all’ultima retribuzione, rischia di creare squilibri per il sistema previdenziale”, si legge in un passaggio del rapporto. “Le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata”. Insomma, non è un allarme, ma comunque un’indicazione di cui necessariamente tenere conto.

Quanto alla spesa, “nel 2021, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili, la spesa previdenziale italiana si è attestata al 16,3% del prodotto interno lordo, un livello inferiore solo a quello della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%”, hanno chiarito da Via Ciro il Grande. “La spesa pensionistica italiana è particolarmente elevata per due motivi principali. Innanzitutto, l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, nonostante un’età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa”.

Certo, il problema è comune e non si può certo parlare di caso Italia. Ed è lo stesso Inps a ricordarlo. “Lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall’aumento dell’età media della popolazione, dal calo della fecondità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall’immigrazione, sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti. Il processo di invecchiamento, comune agli Stati membri dell’Unione europea, influenza negativamente la sostenibilità economica di quasi tutti i sistemi previdenziali, soprattutto laddove l’incidenza della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo è elevata”.

Ora, “la spesa pensionistica italiana è particolarmente elevata per due motivi principali. Innanzitutto l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, nonostante un’età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa. Oltre a questo, le pensioni sono, in media, generose ed infatti il tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più elevati in Ue, quasi 15 punti percentuali sopra la media europea”.

Il presidente dell’Istituto, Gabriele Fava, ha però tenuto a chiarire la buona sostenibilità della spesa pensionistica, almeno nel medio termine. “Nel breve-medio periodo la tenuta dei conti previdenziali è assolutamente in equilibrio anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione e un mercato del lavoro dove giovani e donne hanno carriere discontinue”. Sui rischi di squilibrio, a causa dell’età media effettiva di pensionamento di poco superiore ai 64 anni e ai livelli delle prestazioni, Fava ha aggiunto che “gli interventi sono di competenza del legislatore. Stiamo lavorando in piena sintonia con il governo e i ministeri competenti. Sono molto fiducioso che nel tempo, perché sono interventi non velocissimi, non facili, sono complessi, serviranno per migliorare ancora di più le situazioni che affrontiamo”

Certo, volendo allargare lo sguardo, “per avere un sistema previdenziale solido occorre offrire ai giovani opportunità di lavoro regolare, riducendone i tempi di transizione sia dal sistema di istruzione e formazione al lavoro che da una occupazione all’altra, con adeguate misure di politiche attive del lavoro”. Parole che hanno incontrato il plauso di Renato Brunetta, ex ministro della Pa e ora alla guida del Cnel, per il quale “la storia dell’Inps è una storia di eccellenza, posta al servizio del Paese, volta al benessere dei cittadini, radicata in un’azione capillare di presa in cura delle persone durante tutta la loro vita dalla culla alla bara. Lo ha giustamente sottolineato il direttore generale Valeria Vittimberga: da oltre un secolo l’Inps rappresenta un pilastro del sistema di protezione sociale italiano, rispondendo ai bisogni di milioni di italiani. Oggi, con la presentazione della relazione annuale, l’Istituto ci ha consegnato anche un rilevante contributo sotto il profilo dell’analisi e della valutazione”.

Brunetta però non dimentica le ombre emerse dalla relazione. “Particolarmente significative le parole del presidente sullo scenario demografico, una delle grandi transizioni della nostra epoca, che può avere impatti rilevantissimi sullo Stato sociale, sul mercato del lavoro, sul sistema previdenziale. È un campanello d’allarme da non dimenticare, così come gli alert lanciati sul gender gap e sulle nuove generazioni”.

Troppe uscite, pochi contributi. La mina sulle pensioni italiane nel rapporto Inps

Tra invecchiamento della popolazione, crisi demografica e uscite anticipate generose, il sistema rischia di andare incontro a delle criticità nel futuro prossimo. Ma per il momento non c’è nessuna, vera, emergenza. Nel mentre, il presidente dell’Istituto Fava chiede di concentrare gli sforzi sui giovani

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