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Se oggi siamo i parenti poveri di Europa e Nato ed al contempo possiamo vantare alcune capacità militari di nicchia di assoluto pregio, lo si deve al rapporto poco e mal strutturato che in Italia il mondo militare ha con la politica, e con la società in genere.

In questo senso, alla festa della Repubblica va conferito un significato aggiuntivo: l’impegno di rendere più virtuoso e proficuo il rapporto del militare con il cittadino, con la società, con l’opinione pubblica, ed in definitiva con il mondo della politica e delle istituzioni.

Il punto di partenza è sconfortante, ma non per questo l’obiettivo di perseguire un diverso e più fertile amalgama tra mondi paralleli e scarsamente comunicanti deve essere considerato un’utopia, un bersaglio fuori portata.

I partiti politici, salvo rare eccezioni, hanno finora trascurato i temi della difesa e della sicurezza, e neppure lo stimolo prepotente di una quotidianità in permanente e diffusa confrontazione armata ha fatto emergere una responsabile presa di coscienza sulla necessità che tali questioni vengano affrontate con maggiore professionalità. E possibilmente tenendoli fuori dalla lotta politica, in un’ottica di condivisione degli interessi e della sicurezza nazionali.

Invece ci si attarda ancora nel mettere in sindacato il concetto di una difesa all’altezza delle sfide, una volta potenziali ma ora sotto gli occhi di tutti, e ci si avventura imperterriti nelle stucchevoli ed indecorose comparazioni di quanti ospedali o asili si potrebbero costruire con un singolo F35 e così via.

Tutto questo ha poi conseguenze molto serie nel dibattito internazionale, sempre più incalzante, in un momento in cui non si può non apportare alla concertazione nelle sue disparate geometrie un contributo dignitoso, ponderato e tecnicamente corretto, tentando se possibile di sconfessare gli stereotipi del passato.

L’operazione ReArm Europe è solo il più recente esempio di come non si possa più eludere l’argomento, di come si sia regolarmente chiamati a decisioni di notevole impatto sulla vita dell’intero paese; il rischio è di presentarsi a tali appuntamenti privi degli strumenti di base per giudicare se si sia in presenza di una massiccia offensiva del mondo industriale del settore, veicolato attraverso la Commissione, o se il percorso individuato per conferire maggiori capacità militari all’Unione sia concettualmente e tecnicamente il più corretto o se si sia in presenza di scenari di altro tipo da mettere correttamente e subito a fuoco.

Per tornare ai problemi nostrani, il sostanziale distacco, quando non il completo disinteresse, con cui il mondo politico, ed a volte perfino quello istituzionale, ha interagito con quello della Difesa, ha provocato in buona sostanza due effetti: il primo, deleterio, quello di far mancare alla compagine militare un indirizzo consapevole e responsabile. Basti ricordare lo stupore con cui non pochi esponenti di quel mondo hanno appreso di un programma multimiliardario, l’F35, quando lo stesso aveva già passato, nella loro sonnolenza, più di una decina di vagli parlamentari.

E naturalmente un atteggiamento così marcato ed evidente in chi ci rappresenta in Parlamento e nelle istituzioni, ha favorito il radicarsi nella società di una incultura della Difesa proterva, nefasta ed irragionevole ed il proliferare di correnti di pensiero contrarie a tutto ciò che sia riconducibile alle esigenze di dotare il Paese di una credibile capacità di proteggere i propri cittadini.

Il secondo effetto -quello positivo- è stato quello di far nascere nel mondo militare la propensione ad andare avanti da soli, a progettare l’edificazione di un dignitoso strumento militare senza l’input politico.

E questo è il motivo per cui oggi possiamo vantare un perdurante posizionamento di vertice nel ranking dei Paesi generosi con la Nato, ed essere tra i più apprezzati e richiesti contributori nelle missioni internazionali di ogni tipo, comprese quelle belliche.

Se non ora quando, verrebbe da dire se questo problema italiano, descritto sommariamente ma più complesso ed articolato, dovrà un giorno essere messo in agenda da chi abbia veramente a cuore la sicurezza di questo Paese?

E quale occasione migliore se non la festa della Repubblica di un anno così denso di insidie, per ricordarlo a chi su questi temi perdura in una sconsiderata disattenzione?

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