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“Non dovremmo temere l’egemonia e lavorare gli uni con gli altri come veri partner per portare avanti le nostre relazioni nel mutevole panorama internazionale”, dice Xi Jinping dal Sudafrica, in visita di Stato abbinata alla partecipazione al vertice dei Brics, i cinque Paesi un tempo in via di sviluppo ma ormai tra i player determinanti delle relazioni internazionali. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica rappresentano un sistema attrattivo e come dice un diplomatico africano a Formiche.net: “Per entrare nel club c’è la fila, come davanti a un Apple Store quando escono i nuovi iPhone!”.

La spinta cinese

In effetti sono oltre tre dozzine i Paesi che chiedono un allargamento (molti di questi sono nazioni importanti adesso e ancora di più in futuro, per esempio l’Indonesia e l’Arabia Saudita). “Ciò di cui il mondo ha bisogno oggi è la pace, non il conflitto; ciò che il mondo vuole è il coordinamento, non il confronto”, dice Xi. Eppure, se è vero che questa narrazione è quella che accompagna le iniziative globali del leader cinese ed è sexy per molti, è altrettanto vero che la Repubblica popolare che Xi ha forgiato è ormai un attore geopolitico globale, piuttosto spregiudicato nel perseguire i propri obiettivi e interessato a poggiare le fondamenta del modello di governance globale idealizzato sulle attività totali di sistemi multilaterali come i Brics.

Per Pechino, quei Paesi fondatori e la lunga lista di coloro che vorrebbero un sostanziale allargamento del gruppo dovrebbero lavorare ancora di più insieme per fare appello ad avere maggiore voce e influenza negli affari internazionali, promuovere una riforma accelerata delle istituzioni finanziarie internazionali e opporsi alle sanzioni unilaterali e all’approccio “piccolo cortile, alto recinto”, così lo chiama il leader cinese — che quando usa certe espressioni trova un’ampia fetta di mondo concorde, orientata a salvaguardare insieme interessi comuni contro (magari è forte dirlo) le attività dell’Occidente e dei like-minded.

È azzardato dire che i Brics siano ormai percepiti come l’alternativa, o quanto meno il punto di bilanciamento, dell’attuale G7? Probabilmente non è del tutto corretto, se si considera che molti dei Paesi del gruppo e coloro che vi ambiscono a esserne parte hanno ottimi rapporti con il club dei Sette Grandi. Tuttavia, per la Cina — e non solo, anche per la Russia sicuramente — il ruolo dei Brics è anche questo. Cyril Ramaphosa, il capo di Stato sudafricano che ospita l’incontro, ha invitato una sessantina di leader internazionali e molti di loro hanno in estrema sintesi una lettura delle dinamiche internazionali attuali e future che vede questa contrapposizione G7/Brics.

Necessità di smarcarsi 

Non è un caso se in vista del vertice, Nuova Delhi si è scontrata con Pechino sull’espansione. Le tensioni stanno aumentando per decidere se i Brics debbano essere un club che lavora, non allineato, per gli interessi economici dei Paesi in via di sviluppo, oppure espandersi per diventare una forza politica che sfida apertamente l’Occidente. Se per la Cina la seconda opzione — che di fatto include anche la prima — è la più conveniente dal punto di vista strategico, per l’India no. Il primo ministro Narendra Modi ha fatto di tutto per spiegare al mondo che l’eccezionalismo indiano è collaborativo con Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Corea del Sud, Taiwan; insomma col blocco occidentale — addirittura a un certo punto ha anche lasciato circolare una voce riguardo a una sua assenza al vertice di Johannesburg. Senza eccessivo sbilanciamento per non essere percepito da Paesi terzi come allineato, ma chiaramente per il Subcontinente non conviene essere parte di un blocco d’opposizione.

Modi non è l’unico impegnato in questo lavoro. Per esempio, Naledi Pandor, ministro degli Esteri del Sudafrica, ha dichiarato questo mese che è “estremamente sbagliato” vedere una potenziale espansione dei Brics come una mossa anti-occidentale. Ma come possono essere lette le possibili aggiunte di Iran, Bielorussia e Venezuela, tra i centri della narrazione anti-occidentale a livello mondiale, se non come una mossa per abbracciare gli alleati di Russia e Cina proprio sotto quella narrazione?

Se l’espansione da un lato racconta il livello di forza che ormai i Brics hanno raggiunto sul palcoscenico internazionale, dall’altro crea complicazioni. I brasiliani, per esempio, chiedono attraverso “fonti anonime” che parlano con i media anglofoni di avere chiari i criteri dell’allargamento. Un requisito per i partecipanti potrebbe essere l’unirsi alla New Development Bank, il fondo bancario internazionale con sede a Shanghai creato dai Brics (e presieduto adesso dall’ex leader brasiliana Dilma Rousseff). L’Arabia Saudita, che ha una lettura molto pragmatica dei contesti in questa fase storica, è per esempio già in trattative per diventare un nuovo membro della banca multilaterale.

Limiti (e) obiettivi

La banca prevede di iniziare a prestare in valuta sudafricana e brasiliana come parte di un piano per ridurre la dipendenza dal dollaro e promuovere un sistema finanziario internazionale più multipolare. Tuttavia, della costruzione di una moneta comune anti-dollaro non si parlerà nell’agenda ufficiale del vertice di questi giorni. Ossia, ci sono tentativi di acquisire una qualche sovranità monetaria, ma non sono altro che tentativi — per ora. La banca dei Brics ha anche cercato di distinguersi dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale non stabilendo elenchi di condizioni politiche sui prestiti. Questa è una delle condizioni con cui rendere i suoi servizi attrattivi.

Diventa rappresentativa la vicenda di Vladimir Putin, assente in forma fisica perché su di lui pesa un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale (che lo accusa di crimini di guerra contro i bambini ucraini). Il Sudafrica ha dovuto mediare per la sua partecipazione da remoto, perché alla fine ha scelto di non rischiare le conseguenze (occidentali) di un mancato arresto e chiaramente non si è sentito di prendere in custodia il presidente russo. Al di là di alcune dichiarazioni da parte della leadership sudafricana, la mediazione e il dilemma precedente sono rappresentativi del clima costante attorno ai Brics.

Per questo la Cina vorrebbe di più: puntando sull’espansione, Pechino immagina che possa aumentare la fiducia (reale) che i membri hanno nell’organizzazione — e nella sua leadership. “Il tradizionale sistema di governo globale è diventato disfunzionale, carente e dispersivo”, ha detto l’ambasciatore cinese a Pretoria — una dichiarazione molto ripresa perché Pechino l’ha utilizzata per dettare la linea con una tattica simile a quella nota degli Wolf Warrior. I Brics “stanno diventando sempre più una forza di difesa della giustizia internazionale”.

Allo stato attuale, i cinque rappresentano un quarto dell’economia globale e il 40% della popolazione del pianeta. Ma la forza sta nel fatto che essi hanno un grande potenziale futuro: queste economie si espanderanno e queste popolazioni continueranno a crescere, al punto che, secondo “The Path 2075” di Goldman Sachs, molti membri del gruppo e aspiranti membri faranno parte delle prime dieci economie globali nei prossimi cinquant’anni. Tuttavia, nel presente, queste economie vorrebbero più comodamente affidarsi alla forza propulsiva cinese per pacchetti di aiuti, finanziamenti e accordi di cooperazione. Il problema per Xi, per la sua narrazione e per le capacità dei Brics è che il combinato disposto di lenta ripresa post-pandemica, crisi immobiliare, disoccupazione giovanile e crescita del debito pubblico non è un segnale positivo.

Il rallentamento di Pechino e le sue ambizioni di allargamento con caratteristiche cinesi sono uno dei grandi problemi che i Brics hanno di fronte. Finora la Cina è riuscita a bilanciare le mire politiche con le capacità economiche, e ciò nonostante le divisioni interne all’organizzazione hanno avuto un peso significativo nella capacità d’azione stessa. Con India e Brasile interessate a mantenere un allineamento ibrido, tutt’altro che sottomesso a Pechino, per perseguire i propri interessi, la debolezza interna della Repubblica popolare diventa un ulteriore elemento di rallentamento per l’implementazione dei Brics come blocco politico ed economico. Ed è questa la vera sfida per gli anni a venire: il gruppo Brics dovrà passare dall’essere un mero collettore dell’insoddisfazione di molti riguardo agli equilibri internazionali a diventare un attore globale con una voce coordinata e capacità operative.

Per entrare nei Brics c’è la fila, ma il problema è proprio l’allargamento

Sul vertice dei Brics pesa la Cina. Le ambizioni di allargare l’organizzazione e farla diventare un blocco alternativo al G7 si abbinano male al rallentamento economico di Pechino, ma anche alla linea che India, Sudafrica e Brasile intendono tenere nei confronti dell’Occidente

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