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Barack Obama dovrà ringraziare soprattutto Ben Bernanke e Mario Draghi se sarà rieletto alla Casa Bianca. Le politiche espansive della Federal reserve e della Banca centrale europea hanno consentito di sventare una crisi bancaria ancora più prolungata, ponendo le premesse per una ripartenza dell’economia reale grazie alla discesa dei tassi di interesse. Insomma, il presidente americano dovrà ringraziare più i governatori delle banche centrali degli Usa e dell’Europa che Congresso e governi europei dediti alla sciagurata austerità.
 
Sono le conclusioni di un paper dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica economica) intitolato “Le chance di Obama appese al filo della ripresa economica”). Gli autori Luca Macedoni, Andrea Rongone, Giacomo Saibene partono dalla premessa che “avrà poca importanza il sottolineare i successi delle politiche di Obama (un tasso di disoccupazione più basso di quello del 2009, il salvataggio dell’industria automobilistica, la riforma sanitaria e gli incentivi alle “green technologies”) oppure, da parte del partito repubblicano, puntare il dito sullo stato non troppo brillante dell’economia statunitense, cercando di porlo come evidenza dell’inefficacia delle politiche di Obama”. Quello che conterà di più, secondo i tre ricercatori, “saranno le sensazioni ed emozioni che i due candidati sapranno suscitare negli elettori ancora indecisi. Il risultato delle elezioni sembra quindi appeso all’esito dei dibattiti televisivi e alle capacità comunicative, più che ai risultati dell’economia”.
 
Austerità da sventare
Anche se negli Stati Uniti, a differenza dell’Europa, la congiuntura non è del tutto asfittica: “La ripresa economica, timida, debole, ancora incerta, c’è”. La speranza di Macedoni, Rongone e Saibene è che “chiunque vinca il 6 novembre non la metta in discussione con inutili politiche d’austerità, come sta invece accadendo in Europa”.
 
Gli intralci del Congresso e dei repubblicani
Anche perché il presidente americano non avuto “aiuti esterni”, anzi: “Il Congresso, a maggioranza repubblicana, ha bloccato qualsiasi iniziativa di spesa promossa dai democratici e, con la proposta Simpson-Bowles, ha messo a repentaglio l’essenza stessa della riforma sanitaria che fu alla base della prima campagna elettorale di Obama. Inoltre, dall’estero non è arrivato alcun sostegno all’economia statunitense: la recessione europea e il rallentamento dell’economia cinese hanno a loro volta avuto un effetto negativo sulla domanda di prodotti statunitensi e sull’occupazione interna, che sì è cresciuta, ma meno delle previsioni”.
 
L’azione di Draghi
Per fortuna ci sono stati i governatori di due banche centrali: “Un aiuto insperato a Obama – si legge nel paper dell’Ispi – è giunto dalle due Banche centrali più importanti del mondo, la Federal Reserve e la Bce”. In Europa, il governatore della Bce, Mario Draghi, si è posto a difesa dell’euro, assicurando implicitamente il supporto incondizionato della Bce ai mercati finanziari dei paesi europei più in difficoltà: “Questo ha fermato e invertito il lento e continuo deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro”.
 
Le mosse di Bernanke
Negli Stati Uniti, il suo collega Bernanke ha promosso un nuovo piano di quantitative easing: un altro round di espansione monetaria non convenzionale. “Gli effetti di queste politiche sono stati pressoché immediati – scrivono i ricercatori Macedoni, Rongone e Saibene – da un lato, sui mercati valutari, si è verificato un deprezzamento del dollaro, che ha reso le merci statunitensi più competitive (sostenendo perciò il mercato delle esportazioni statunitensi); dall’altro, sui mercati finanziari statunitensi, si è verificata una riduzione ulteriore del tasso d’interesse reale; proprio quello che la Fed voleva ottenere”.
 
Per saperne di più:
 
 
 
 

Barack sarà eletto grazie a Bernanke e Draghi

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