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Il mondo è in guerra. O meglio, Cina e Stati Uniti lo sono. Solo che al posto dei cannoni, ci sono le tariffe. Oggi importare merci cinesi negli Stati Uniti costa il 145% in più rispetto a poche settimane fa. Mentre le imprese americane che vogliono esportare nel Dragone devono pagare un prezzo maggiorato del 125%. Questa la situazione, assolutamente ancora fluida e con un raggio di previsioni davvero corto. La domanda è, chi ha da perdere di più? I centri studi di tutto il mondo stanno facendo i calcoli, le stime. Di sicuro, la Cina rischia grosso su uno dei suoi settori di punta: l’abbigliamento low cost.

Quasi impossibile, ormai, andare in un negozio di vestiti che non sia di alta gamma in cui non ci siano sullo scaffale produzioni cinesi. Ed è proprio lì che i dazi di Donald Trump andranno a colpire. Tutto parte dalla fine dell’esenzione de minimis per le spedizioni cinesi di piccolo taglio e ad alta frequenza, con pacchi, dunque, dall’ingombro limitato. La maggiorazione delle tariffe, infatti, può portare a un cambiamento nel comparto dell’ultra-fast fashion, su cui la Cina è campione mondiale. aumentando i costi operativi e sconvolgendo il suo modello di business basato su spedizioni di basso valore e ad alta frequenza.

In questi giorni, infatti, gli Stati Uniti hanno adottato misure significative per colmare una lacuna che da tempo avvantaggiava giganti dell’e-commerce cinese come Shein e Temu. L’ esenzione de minimis consentiva alle spedizioni di piccolo valore dalla Cina, pari o inferiori a 800 dollari e quasi sempre connesse all’abbigliamento low cost, di entrare negli Stati Uniti senza dazi doganali. Ora, il settore cinese dell’ultra-fast fashion ha costruito il suo modello proprio attorno a spedizioni transfrontaliere ad alta frequenza e a basso valore, la maggior parte delle quali è entrata negli Stati Uniti al di sotto della soglia minima. Solo nel 2023, oltre 1 miliardo di pacchi ha avuto diritto a questa esenzione, con la Cina che rappresenta oltre il 60% di queste spedizioni. I nuovi dazi, tra cui un dazio fisso del 30% sui piccoli pacchi e un’eventuale imposta di 50 dollari per articolo, altereranno però radicalmente l’equazione costi-benefici di questo modello.

Per piattaforme come Shein e Temu, che elaborano centinaia di migliaia di ordini al giorno, l’effetto cumulativo di questi addebiti unitari sarà sostanziale, hanno spiegato gli esperti di China Briefing. Ad esempio, una maglietta da 5 dollari ora è soggetta a dazi doganali minimi di 4,50 dollari al di sotto dell’aliquota ad valore del 90%, oppure a un addebito fisso di 75 dollari, entrambi fattori che potrebbero moltiplicare il prezzo finale al dettaglio. Questo sconvolge la logica operativa della produzione in micro-lotti e della consegna diretta al consumatore, costringendo probabilmente le aziende cinesi a consolidare le spedizioni, trasferire gli hub di distribuzione in paesi terzi o persino valutare la possibilità di stoccare negli Stati Uniti. Un punto a favore, quest’ultimo, per Trump.

Fin qui le imprese, il commercio. Poi c’è la politica. Mentre Washington e Pechino combattono corpo a corpo, i vertici dell’Unione europea potrebbero recarsi a Pechino per un vertice con il presidente cinese Xi Jinping alla fine di luglio. Il piano prevede, diversamente dalla prassi, il secondo vertice Ue-Cina consecutivo si tenga nella capitale cinese, nonostante il fatto che la sede dovrebbe ruotare. Questo perché Xi sarebbe riluttante a recarsi a Bruxelles. Quindi il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno accettato di recarsi a Pechino per incontrare il leader cinese faccia a faccia. Al momento non c’è nulla d’ufficiale, ma la disponibilità dei leader europei a fare il viaggio indica uno sforzo serio per ristabilire i contatti con Pechino, in un momento in cui il rapporto con gli Stati uniti è crollato sui colpi della guerra dei dazi dichiarata dal presidente Usa.

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