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Ricordare la figura di Francesco Cossiga è un atto di generosità non solo nei confronti della sua persona quanto e soprattutto nei confronti di una collettività che affronta un momento in cui il bisogno di punti di riferimento ed il valore della memoria sono esigenze reali.
Riferendomi non tanto – e non solo – al politico, ma semplicemente alla persona.
 
Non parlo, infatti, di mancanza di punti di riferimento politici (seppur evidente nella sua urgenza) ma di mancanza di punti di riferimento in termini sociali. L’opera e l’eredità del Cossiga politico credo rappresentino solo una parte di risorse e valori che si collocano al di fuori della storia e delle sue contingenze.
Quella attuale è una crisi il cui destino viene giocato su più tavoli. Uno che riguarda realtà quasi “trascendenti”, per quanto paradossalmente distanti dalla vita di tutti i giorni e della maggior parte delle persone, ma così vicini e concreti da avere ricadute evidenti e letteralmente inevitabili per le stesse. Un altro potrebbe essere definito tavolo “sociale”, dove la crisi viene vissuta dalla base al vertice. Alla base abbiamo la famiglia (prima agenzia di socializzazione) e fondamentale nel determinare la riuscita o meno delle principali dinamiche sociali. Credo che molto si determini in questo nucleo, primo ambiente dedicato alla nascita ed allo sviluppo del dialogo tra generazioni e dove le nuove generazioni conoscono la loro prima “formazione”. Al vertice abbiamo la crisi di quella che Weber definiva “leadership carismatica”.
 
Ed è questo l’aspetto che più ci fa pensare a Francesco Cossiga.
 
Del quale si possono discutere l’azione politica, il pensiero, gli “eccessi” ma non la leadership. Che anche qui non delimiterei alla sola sfera politica, come chi ha avuto la possibilità di incontrarlo o dialogarci può confermare. E che è legittimo susciti simpatie e ed antipatie, nella capacità di unire e dividere propria del personaggio. Propria, aggiungerei, in generale di tutti coloro capaci – e desiderosi – di prendere posizioni. Che passino grazie ad “esternazioni”, comportamenti, anche inusuali, ma comunque autentici. Così come le convinzioni di un uomo che, pur inserito in determinate logiche e dinamiche, ha sempre dimostrato di non far venir meno il rispetto di determinati “imperativi categorici”. E di agire nel nome della libertà, quel bene senza il quale di nessun altro bene è possibile godere.
 
In più di qualche occasione sono stato chiamato a dire quale fosse, in una parola, la lezione di fondo di Cossiga. La mia risposta è sempre stata: una lezione di libertà. Ciò con particolare riferimento alla realtà dei giovani, che mi sento di rappresentare al momento della risposta. E che mi sento di sensibilizzare su questo tema ed in relazione alla figura di Cossiga.
 
I commenti sul mio libro che più mi rendono orgoglioso e soddisfatto della sua utilità sono quelli di coloro che mi dicono di aver visto questa persona sotto una nuova luce e che parallelamente hanno colto gli stimoli che – a partire dall’emblematico incontro generazionale rappresentato da questo grande della storia ed un giovanissimo “allievo” – ho voluto e voglio comunicare ai giovani come me e – perché no – anche ai più giovani. Ripeto, tutt’altro che delimitati alla politica. Stimoli che riguardano un approccio “culturale” genuino, libero, consapevole. Rispettoso e rivoluzionario. Così come la “dualità” di un uomo di Stato – indipendentista, un democristiano – rivoluzionario (per l’appunto) ci aiuta capire che non è obbligatorio scegliere se appiattirsi sul potere, sullo “status quo” o essere indiscriminatamente antagonisti.
 
In presenza di un pesante “tappo sociale” la differenza sta nell’atteggiamento che si decide di adottare per affrontarlo e farlo saltare. Così come con il suo percorso Cossiga ci può suggerire, da giovanissimo “baronetto” vittorioso sul dominus della Dc sassarese Segni nelle elezioni di un direttivo provinciale fino a Presidente della Repubblica prima “einaudiano” poi picconatore dedito a scuotere gli animi. Sarà una visione romantica, ma è la visione che di questa persona voglio rimarcare.
 
Più giovane in assoluto nella storia della Repubblica a ricoprire cariche come quella di Sottosegretario alla Difesa, Presidente del Senato e della Repubblica. Una ragione ci dovrà pur essere. E la ricercherei tanto nella razionalità quanto nella passione di quel giovane che, rispettando il capo, ha saputo “fare la rivoluzione” e prenderne il posto. Senza snaturare una personalità capace di “movimentare” e picconare “dal basso” – piuttosto comune – ma anche e soprattutto dall’alto. Un po’ meno comune.
 
A voi, cari “grandi”, queste riflessioni. A voi, cari giovani, questo invito.

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