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Dopo una partenza dai tratti rocamboleschi, il processo negoziale in Ucraina sembra avere difficoltà a fare ulteriori progressi. L’incontro di venerdì scorso a San Pietroburgo, durato quattro ore e mezza, tra l’inviato speciale statunitense per il Medio Oriente Steven Witkoff (che nonostante il suo titolo ufficiale ricopre de facto una posizione primaria nel dialogo tra Washington e Mosca) e il presidente russo Vladimir Putin, terzo faccia a faccia di questo genere, non sembra aver portato a risultati concreti. I toni ottimistici delle dichiarazioni dell’ufficio stampa della Casa Bianca (con l’addetta stampa Karoline Leavitt che ha dichiarato come dal punto di vista degli Stati Uniti l’incontro sia stato “un altro passo nel processo di negoziazione verso il cessate il fuoco”) sembrano cozzare con quelli del Presidente Usa Donald Trump, che invece in un post scritto sul social media Truth ha chiesto alla Russia di “muoversi”, spiegando poi che “troppe persone stanno morendo, migliaia alla settimana, in una guerra terribile e insensata – una guerra che non sarebbe mai dovuta accadere, e non sarebbe accaduta, se io fossi stato Presidente!”.

Sempre venerdì è apparsa sul Times un’intervista all’inviato speciale statunitense per l’Ucraina Keith Kellog, il quale ha suggerito che nell’eventualità di un cessate il fuoco il Paese ex-sovietico avrebbe potuto essere suddiviso in zone di controllo sulla falsa riga di quanto “avvenuto a Berlino dopo la seconda guerra mondiale”: una di queste zone, nell’ovest del Paese, ospiterà una “forza di rassicurazione” franco-britannica, un’altra zona occupata dalla Russia nell’est, e una zona demilitarizzata amministrata dall’Ucraina lungo il fiume Dnipro nel centro del Paese. Poco dopo la pubblicazione dell’intervista lo stesso Kellog ha descritto le zone di responsabilità di una “forza di rassicurazione” da dispiegare in Ucraina in caso di cessate il fuoco, piuttosto che la divisione politica del Paese. Kellogg ha anche affermato che i legami diplomatici tra Washington e Kyiv sono “tornati in carreggiata”, notando che un gruppo di funzionari ucraini è arrivato a Washington per riprendere i negoziati per un accordo sui minerali, che si erano arenati dopo la visita del presidente ucraino Volodomyr Zelensky alla Casa Bianca a febbraio, culminata in uno scontro verbale tra lo stesso Zelensky, Trump e il vicepresidente di quest’ultimo JD Vance.

Chi (prevedibilmente) non sembra troppo interessato a portare avanti i negoziati è Mosca. Più che verso la tregua, gli sforzi del Cremlino sembrano infatti essere indirizzati verso l’aspetto militare del conflitto, con il proseguimento degli attacchi missilistici contro bersagli non militari (l’ultimo di questi, avvenuto ieri, ha colpito la città di Sumy, causando 34 vittime) e con l’avvio di nuove operazioni di carattere offensivo lungo la linea del fronte.

Anche l’incontro tra Trump e Putin, che appariva come quasi imminente poche settimane fa, adesso sembra un’eventualità lontana. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha dichiarato domenica che un incontro tra i due leader “avrà luogo al momento opportuno”, ma ha sottolineato che prima dovranno essere effettuati preparativi approfonditi.

A mostrare invece un certo attivismo, anche se in una strada decisamente diversa da quella del negoziato, è la Germania. Nelle scorse ore il cancelliere in pectore Friedrich Merz si è espresso sulla sua disponibilità a rifornire Kyiv con i sistemi missilistici a lungo raggio Taurus (prendendo le distanze dalle posizioni assunte dal suo predecessore Olaf Scholz) purché ciò avvenga in coordinamento con gli alleati europei.  “I nostri partner europei stanno già fornendo missili da crociera. I britannici lo fanno, i francesi lo fanno e gli americani lo fanno”, ha dichiarato il politico tedesco, “Questo deve essere concordato congiuntamente. E se è concordato, allora la Germania dovrebbe partecipare”. Poche ore prima della dichiarazione di Merz, al termine del ventisettesimo meeting dell’Ukraine Defence Contact Group, Berlino ha annunciato ulteriori undici miliardi di euro in sostegno militare a Kyiv (a cui si aggiunge il pacchetto di quattro miliardi e mezzo di sterline targato Londra). La pace in Ucraina è “fuori portata nell’immediato futuro”, ha affermato il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, aggiungendo che “la Russia deve capire che l’Ucraina è in grado di continuare a combattere e che noi la sosterremo”.

Ma la notizia dell’apertura del futuro cancelliere tedesco non è stata presa di buon grado a Mosca. Parlando della questione durante un briefing con i giornalisti, Peskov si è rivolto a Merz affermando che il politico tedesco “sostiene diverse misure che possono condurre e condurranno inevitabilmente ad una nuova escalation della situazione in Ucraina”.

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