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Il salario minimo continua ad essere al centro dell’attenzione, ma non i salari ordinari, quelli che riguardano 20 milioni di lavoratori, fanalino di coda tra i paesi Ocse. E comunque si ha più che l’impressione che le soluzioni che si propongono per i minimi salariali siano peggiori dei mali che si dice di voler curare. Sicuramente non sono in linea con le indicazioni europee che per l’Italia, Danimarca, Austria, Svezia, Cipro raccomanda solo buone pratiche e non leggi, datosi che questi paesi sono unici nel vecchio continente a disporre di una contrattazione nazionale che supera la copertura dell’80% dei lavoratori in ogni settore merceologico. Ai paesi sopra elencati si è riservata solo un’azione di buone pratiche rivolta ad una piccola porzione di lavoratori non coperta, per non soffocare con leggi particolari la contrattazione che copre la stragrande maggioranza, solo per occuparsi di una piccola porzione che comunque va salvaguardata in altro modo.

Il punto è che le imprese potrebbero essere scoraggiate a contrattare, disponendo di una cifra stabilità per legge in Parlamento. Il risultato sarebbe disastroso per la compressione della contrattazione nazionale portando potenzialmente alla eguaglianza, ma in basso, 20 milioni e più di lavoratori. C’è in giro troppa confusione e troppi imbonitori: quella di conciliare alleanze politiche con le questioni salariali che vanno risolte nei posti di lavoro e dalla autonomia delle parti sociali. Vediamo la natura di quel milione di lavoratori che si trovano nel disagio: lavorano in edilizia; nelle pulizie; in agricoltura; nel turismo e nel terziario in generale. La soluzione ai problemi di queste persone in difficoltà si può trovare concretamente in modo molto diverso da come si sta proponendo.

Ad esempio, per l’edilizia pubblica basta e avanza agire sui capitolati di appalto per evitare il massimo ribasso e fissare con chiarezza, come in tanti casi si fa già, le tariffe contrattuali di settore per l’appaltatore che dovrà risponderne anche per i suoi sub- appaltatori. In quella privata il rilascio della “licenza” da parte dei comuni e la certificazione di abitabilità successiva, dovranno essere sottomesse agli stessi criteri della edilizia cosiddetta pubblica. E poi per gli stabilimenti balneari, per la sanità privata, per i trasporti, e servizi tutti, compresi i servizi di vigilanza regolati dai comuni dalle regioni e dalle prefetture, la validità delle concessioni, delle convenzioni dovranno essere condizionate dal rispetto dei contratti nazionali ordinati dalle organizzazioni del lavoro comparativamente più rappresentative. Anche i vantaggi delle riduzioni ed agevolazioni fiscali e contributive per le imprese, la partecipazioni alle forniture pubbliche dovranno seguire gli stessi criteri.

E poi l’Inps che dispone di ogni dato relativo al salario orario per precisare la misura della contribuzione previdenziale e che riceve i dati del Durc, con un atto amministrativo del ministro del lavoro o con un decreto ministeriale, può mobilitare la repressione degli ispettori dell’Inps con multe salate ai danni dei trasgressori. E che dire della mancanza di memoria riguardo al decreto della Presidenza del Consiglio dell’anno scorso che ha regolato magistralmente il modo di gestire la “certificazione di genere” l’anno scorso, la Presidenza per l’efficacia dell’obbligo della certificazione di genere nelle aziende, in linea con la missione 5 del Pnrr. Tali certificazioni prevedono condizioni premiali o punitive per le imprese che rispettano le norme della pari opportunità per le lavoratrici rispetto ai lavoratori, per norme sulla maternità e delle buone pratiche di conciliazione tra il lavoro e la famiglia.

Una soluzione semplice e stringente, non a caso impostata su una direttiva europea, lontana dalle solite soluzioni confuse e fuorvianti. Dunque volendo, soluzioni efficaci per gli svantaggiati salariali si possono attivare con i tantissimi strumenti con cui volendo si potrebbe agire. E i partiti così tanto intenzionati a sostenere i lavoratori, si potrebbero dedicare ai penosi salari di tutti i lavoratori italiani. Si ricorda loro che siamo 35 punti sotto i francesi e i tedeschi in che trent’anni  hanno migliorato i salari mentre il lavoro delle nostre buste paghe sono inferiori al 3% rispetto al 1991, come ci dicono i dati Ocse. Si vuole fare qualcosa? Si riducano le tasse sulle buste paga e si premi fortemente la produttività nelle buste paga. Ma questa alleanza per il salario minimo, per farlo, dovrà rinunciare definitivamente alla cultura anti produttività e a quella di tassare anche le tasse per riuscire a dare una mano alla questione salariale italiana, che se non risolta distruggerà il lavoro e l’economia.

Salario minimo? Uscire dalla cultura dell'anti-produttività. Scrive Bonanni

Volendo, soluzioni efficaci per gli svantaggiati salariali si possono attivare con i tantissimi strumenti con cui si potrebbe agire. E i partiti così tanto intenzionati a sostenere i lavoratori, si potrebbero dedicare ai penosi salari di tutti i lavoratori italiani. Si vuole fare qualcosa? Si riducano le tasse sulle buste paga e si premi fortemente la produttività

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